verdena_end_1_2

Verdena @ Teatro della Concordia (Venaria Reale)

La PFM era stata letteralmente cacciata dal palco da raffiche di vento e nessuno se l’era sentita di esibirsi o di assistere sotto quel putiferio della natura che ha caratterizzato la prima parte dell’estate scorsa. Così uno dei concerti più attesi di tutta la rassegna era stato “rimandato”, senza che i fan di Torino e dintorni sapessero quando avrebbero potuto recuperare la data del 9 luglio. Quel giorno, però, adesso era finalmente arrivato. Una cornice totalmente diversa, così come la location: non più nel centro storico di Torino, bensì al Teatro della Concordia di Venaria Reale. Mancano quindici minuti alle 10, la sala è buia, hanno tolto tutte le poltrone, permettendo così a chi si vuole dimenare di farlo senza problemi. Entrando nell’auditorium si va a tastoni, non ci sono ancora molti spettatori, forse anche perché l’evento è stato pubblicizzato poco. Meglio così. Le resse non mi sono mai piaciute, posso sperare di trovare un posto con una buona visuale.

In apertura echeggia come dal profondo di una grotta il nuovo album “Allusioni” di Gionata Mirai, componente del Teatro degli Orrori e frontman dei Super Elastic Bubble Plastic. È un suono d’oriente, una chitarra acustica magistralmente sfiorata, non ci sono parole a rompere il silenzio delle ombre. Quelle dita sempre più veloci pizzicano le corde, pizzicano i pensieri e attraggono magneticamente l’udito. Sempre più rarefatta è l’aria intorno: il caos nel Grande Bazar d’Istanbul, una camminata lungo la Muraglia Cinese, il profumo dei fiori di ciliegio nei pressi di Kyoto.

Tra austerità e incantesimo vengono introdotti i Verdena, che alle dieci spaccate salgono sul palco. Sono di poche parole, cominciano immediatamente dopo una breve standing ovation da parte del pubblico. Aprono con “Fluido”, traccia dalle tinte lugubri, appartenente all’Ep del 2007 “Canos”. Quello che mi aspettavo un concerto più “soft”, data l’atmosfera teatrale, già dall’intro si presenta come un ritorno alle origini e a quei suoni sporchi a cui i Verdena erano tanto affezionati. Tutti in visibilio per “Rossella Roll Over” e “Miglioramento”: due tra i pezzi più carichi dell’ultimo album. Anche i più pigri non possono stare fermi. I fratelli Ferrari e Roberta Samarelli sono bestie da palcoscenico. Difficile non stargli dietro. Roberta dopo aver scosso la chioma su e giù per tutta la durata dello show non oso immaginare come si sveglierà il mattino seguente. “Ora puoi, il fisico ce l’hai per fare la rivoluzione che aspetto”. Occhi puntati su Alberto Ferrari che graffia l’armonia con la sua voce.

Diversamente dai primi concerti del tour in cui si erano mostrati capaci di una grandissima perfezione vocale e strumentale, tanto che – per citare il caso del concerto all’Honky Tonky di Seregno in Brianza a cui ho assistito a fine marzo – il live si poteva facilmente confondere con la registrazione del disco; qui, invece, cambia tutto. Risonanze dagli accenti ruvidi, pietre fatte saltare in mare, artigli bianchi che si insinuano nella pelle. Un’interpretazione che passa in un battito di ciglia, anzi in un “ciglierò”, dal tormentato al paradisiaco. Con un brano del 2004, incluso ne “Il Suicido del Samurai”, “40 secondi di niente” viene esteso un confine intimistico, quel riflesso di luci e suoni sul palco diventano la continuazione di un sogno cominciato la notte precedente. “Topi blu ballano sull’oceano, nulla è più vero, è più vero, qui non c’è più calma, settembre ci porterà via con sé, le nostre difese sfidano la follia, che ormai non sa di niente, niente, niente..” Le lacrime riempiono gli occhi, ma non scendono perché bloccate dal solito strillare della ragazza davanti, che evidentemente ha dei seri problemi a contenere la sua emotività.

Ancora più aspro è l’inizio di “Caos strisciante” contenuto in “Requiem” del 2007. Roberta ormai è un tutt’uno con il suo basso, la distinzione tra corpo e suono è solo mera formalità. Luca Ferrari nella sua postazione in fondo continua a martellare le bacchette sulla batteria, senza sosta, respirando a scatti. Alberto, invece che, con la sua maglia a righe da perfetto mozzo, passa da una parte all’altra dell’assito, interpreta “Badea Blues”, “Nuova Luce” e “Lui gareggia” come se fossero le pagine di uno stesso libro. “L’amore in un attimo come in un sogno arriverà, correndo fra gli alberi in questa notte buia non durerà”. “Elisa corre e tu sempre lì aggrappato a un fegato ormai, solo e triste tu non rimarrai”. “La inseguirò, restar non so, che non è magico, se non sei più tu, irradiami, irradiati”.

Repertorio antico si mescola al nuovo, senza sentire quasi la differenza. “WOW”, molto diverso dai precedenti lavori, ha sicuramente un suono più pulito. Le abrasioni, vere e proprie lacerazioni tra una nota e l’altra possono esserci, però, anche qui. Basta reinventare la musica, accanirsi sul microfono e raspare via tutti i silenzi, tornando così ad una dimensione ridisegnata ad hoc. Ecco che “Canos”, “Logorrea”, “Don Calisto”, “Castelli per aria”, “Angie” e “Razzi, arpie, inferno e fiamme”, frammenti di periodi diversi della maturità artistica dei nostri Verdena, assorbono un significato simile. Le schitarrate di Alberto sono d’impatto, il sudore intinge i suoi capelli nella melodia sempre più opaca. Luci rosse avvolgono il palco. Come in un rogo la folla si avvicina alle transenne, sperando di essere avvolta da quell’incandescenza. Con “Scegli Me” lo sfondo dalle tinte bluastre si aprono in un coro (soprattutto di ragazze, me compresa, lo ammetto, e stonando tantissimo) di sospiri e di vezzeggiamenti più pop, rispetto al resto dello spettacolo.

La gentile signorina che ho davanti ha variato le sue mosse da privè dell’Hollywood in una danza dub cattivissima, sventolando le braccia in alto. C’erano solo i Verdena, nessun dj che dicesse “Su le mani al cielo”. O almeno io non l’ho visto e lei sì. L’accoppiata è stata perfetta quando un uomo sulla quarantina si è affiancato al primo fenomeno da baraccone menzionato. Lui non ha mai visto una doccia in vita sua, questo è sicuro. Non bisogna demordere, essere circondati da casi umani non fa che ravvivare l’atmosfera.PSW1323885110PS4ee8e236425d4

Ancora il “Nulla di O.”, “E’ solo lunedì” e “Dentro Sharon”: una delle primissime canzoni, annata 2000, facente parte di “Verdena”. Sono veloci e metodici nell’esecuzione. Tra una canzone e l’altra l’unica a parlare è Roberta. Si avvicina al microfono, lontano anni luce dal punto in cui si trova, e fermandosi senza neanche quasi guardare il pubblico urla “Grazie”. Sembra ogni volta che stia per fare un annuncio importantissimo, invece no. L’avrà fatto sedici volte. Luca ovviamente rimane sempre dietro il suo colosso. Intanto Alberto si sposta dalla tastiera alla chitarra e bofonchia in un’altra lingua o in bergamasco. Non sono di certo dei grandi affabulatori, ma dategli in mano uno strumento e vedrete come dicono la loro. Dopo più di un’ora e mezza di show, sono ancora carichi. Si preparano a suonare “17 tir nel cortile”, perla contenuta sempre ne “Il suicidio del Samurai”.

“Ho visto anche la neve sciogliersi di colpo ed ora so, ti amo, ho chiesto fin troppo ed ora lo ammetto, mi asciugherò di colpo e poi sarò contento di nuovo”. La voce di Alberto si fa sottile e metallica. Per poi sciogliersi in “Loniterp”, l’anagramma di Interpol – qualcuno dice che il sound sia volutamente ripreso dalla band, io sostengo che di simile ci siano solo 15 secondi alla fine del primo minuto. “Cosa vuoi siamo scimmie terrestri”. Notte e fiamme diventano le facce della stessa medaglia: sono queste le luci che avvolgono spettatori e gruppo. Alberto Ferrari ha una voce sempre più acuta, il ritmo è velocissimo, cattura l’attenzione di tutti. Togliendo gli errori dei fonici, questo concerto è stato decisamente fenomenale. L’impatto sonoro ci ha riportato a dieci anni fa, quando i Verdena erano ancora una band emergente e suonavano a destra e a manca facendosi le ossa. Venticinque canzoni eseguite come colpi di mitragliatrici. Incisive e mirate.

Una fine migliore per Roberta Samarelli che si è esibita in un gran bel stage diving, ma soprattutto per chi le ha stritolato le chiappe, non poteva esserci. Coraggiosa la ragazza, frutto di una lunga esperienza, si vede! Chissà dove li porterà il loro nuovo ritiro negli studi di registrazione sui monti del bergamasco. Sta di fatto che anche in un anno in tour sono riusciti ad evolversi, a non essere mai stereotipati e a stupire sempre chi si sono trovati di fronte. L’anno più importante, quello della consacrazione al grande pubblico italiano ed internazionale, è stato vinto, ed ora?! Hanno già conquistato tutto, nuove frontiere mobili li attendono con impazienza!

 

(foto di Ilaria del Boca)

Grazie


Per 15 anni Paper Street è stata una rivista on-line di informazione culturale che ha seguito con i suoi accreditati i principali festival europei di cinema e musica: decine di collaboratori hanno scritto da tutta la penisola dando vita ad un archivio composto da centinaia di articoli, articoli che restano a disposizione di voi lettori che siete stati un numero incalcolabile nonché il motivo per cui, per tanto tempo, abbiamo scritto con passione per questo progetto editoriale che ci ha riempiti di soddisfazioni.

This will close in 30 seconds