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Il fu Adriano Meis

MATTIA, 30 anni deve scrivere il monologo per lo spettacolo teatrale della sera. Fa il cabarettista al teatro del Verme di Milano. Ed è anche autore dei suoi testi. Solitamente esce presto la mattina, gira per la città. Osserva le persone, ne studia i comportamenti e le loro relazioni; prende appunti. Poi torna a casa per scrivere il monologo e li sputtana completamente: in genere questo fa ridere quella massa di occhi che lo guarda sul palco tutte le domeniche. Quella stessa massa che è protagonista dei suoi testi. Sicuramente qualcuno di quelli che prende in giro la mattina è li la sera a sentirlo parlare e a ridere di se stesso senza capire.

ROMILDA, 29 anni, è la compagna di Mattia. Affermata nel mondo del lavoro e sempre indaffarata, critica a Mattia il suo dolce far niente: “non puoi vivere così, senza uno stipendio fisso”, “sei sempre rinchiuso in quel ripostiglio a scrivere”, “ non usciamo mai insieme e quando sei fuori hai sempre quel taccuino per scrivere”, “io e te non parliamo più”. Questo è il genere di frasi che accompagna Mattia nel corso delle sue giornate. Ma egli ama quel lavoro, guarda la vita degli altri e si rende conto di quanta ipocrisia, falsità, illusioni ed incoerenze esistano nella stessa persona. Quel giorno Romilda costringe però Mattia ad accompagnare la mamma, MARIANNA, 60anni, all’IKEA. Mattia, svogliato, è in ritardo col lavoro per la sera ma subendo le insistenze della compagna decide che è meglio andare. Non vuole sentirla urlare. La sera in qualche modo farà. Ma quella suocera… la odia. Lo tratta come un deficiente, un fallito, un nullafacente. Non capisce la sua arte, non capisce perché la figlia stia con uno così. Secondo lei, Romilda doveva sposare un ricco proprietario di aziende… Ma purtroppo Romilda, da giovane si era innamorata di Mattia perché la faceva ridere. La giornata per Mattia trascorre lenta e monotona, non si sente a suo agio in mezzo a tutta quella gente a fare giri per scaffali, ad aspettare le “sue” donne che ad ogni oggetto stupido, che costa meno di un euro, si fermano e riflettono profondamente sul da farsi… Comprarlo o non comprarlo? Mattia attende a distanza. Tutto gli sembra finto. Quando può si accomoda nei salotti Ikea, si sdraia sui divani Ikea, legge una rivista presa dallo scaffale Bornstrum, Ikea. Guarda gli altri uomini che, con le facce tristi, accompagnano le mogli in giro per il centro commerciale. E magari sono anche carichi come dei muli mentre le loro donne sembrano danzare da uno scaffale all’altro, da una lampada a forma di elefante ad un posacenere a forma di lampada, da una scrivania per bambini ad una ciotola per cani con raffigurata la faccia di un bambino… Forse neanche loro hanno ben chiaro cosa serva in casa; e i mariti lì ad assecondarle in tutto e per tutto, innamorati, oppure accondiscendenti, a condizione che quell’incubo finisca presto. Romilda non lo sopporta più; lo rimprovera dandogli del bambino, ma delle sue decisioni su cosa comprare o meno non lo interpella minimamente; per quello c’è la mamma. Oltretutto Mattia risponderebbe come la maggior parte degli uomini lì presenti: “va bene, basta che andiamo”. Mattia si vergogna… Per la prima volta lui diventa come gli altri; chiunque potrebbe guardarlo e pensare le stesse cose che pensa lui. Si sente parte delle commedia dal titolo:”Uomini e donne all’Ikea”. Annota tutto sul taccuino Mattia, controlla l’ora. E’ tardi. Deve correre a teatro a prepararsi, a ripetere il monologo allo specchio. Ma quale? Non ha preparato niente la mattina e riproporre un discorso già vecchio sarebbe come prendere in giro il pubblico. Ma lo fa già abbastanza commentando i loro atteggiamenti insoliti. Controlla il taccuino e pensa che potrebbe descrivere quell’intensa e terribile giornata all’Ikea. Potrebbe sputtanare se stesso quella sera, magari è un modo per far capire alla moglie che non la sopporta più, e tanto meno, sopporta la suocera… Un modo per scrollarsi di dosso quella sensazione di essere solo un oggetto in mano a sua moglie e a sua suocera. Lascia le chiavi della macchina a Romilda ed esce dal centro commerciale accentuando una corsetta. Non è poi così tardi, il teatro è lì vicino, ma vuole uscire da quel luogo di consumo, non vuole mischiarsi con quella gente che la domenica va all’Ikea anche se non deve comprare niente. Solo per far felici le mogli, per far passare una giornata in tranquillità alle proprie signore rinunciando alla propria libertà. Lui stesso però ha fatto esattamente lo stesso oggi. E ne soffre, si sente schiavo di quella giornata nella quale non ha potuto decidere, schiavo dei compromessi di coppia, schiavo degli sguardi che lo fissavano e dei pensieri degli altri che secondo lui erano gli stessi suoi: maligni, infami, cattivi…

Giunge in teatro finalmente. Il suo mondo, dove può non essere se stesso, dove con una buona base di trucco può nascondersi agli occhi del pubblico e parlare liberamente di quello che vede, di quello che sente ogni giorno di quello che pensa in ogni circostanza. La gente non gli crede mai ma quello che racconta è vero. E’ per questo che ama il teatro. Può dire a tutti ciò che pensa anche se spesso questo li fa ridere lui si sente apposto con la coscienza. Nel camerino, davanti allo specchio, inizia la sua preparazione: sfoltisce la barba mostrando il mento appuntito, raccoglie i lunghi capelli ricci con un elastico mostrando la fronte spaziosa, indossa un bel paio di occhiali colorati per coprire il suo occhio storto. Si guarda allo specchio e riflette sugli argomenti che tirerà fuori quando salirà sul palco. Chi sarà stasera? Adriano Meis. Aveva letto quel nome sulla rivista Ikea. Costui era un addetto agli uffici acquisti, responsabile dell’implementazione e del follow-up del codice di condotta dei lavoratori Ikea: sti cazzi… Un ruolo importante… Già un ruolo… Mattia l’avrebbe usato così, giusto per non essere Mattia Pascal sul palco; il suo vero nome lo avrebbe inibito probabilmente. Così invece, poteva essere libero.

Lo spettacolo era già iniziato. Lui era il terzo ad andare in scena. Alle 21:30 il presentatore lo introduce: “Signori e signori Adriano Meis”. E via… in scena. Adriano Meis è totalmente un altro. Inizia a raccontare la sua giornata, da quando la mattina la moglie lo aveva svegliato alle otto di mattina con l’aspirapolvere a quando gli diede la tragica notizia dell’arrivo della suocera che come al solito lo insultava per il tipo di vita che conduceva. Poi la giornata all’Ikea… Il pubblico ride alcuni hanno le lacrime agli occhi. Mattia inizia a stare meglio, ancora meglio di tutte quelle volte in cui aveva rappresentato un personaggio che non gli apparteneva. Si scioglie e si libera di quel peso che aveva sullo stomaco, di tutti quei momenti in cui avrebbe voluto dire alla moglie, alla suocera, a Ikea:” ma andate a cagare” Sta bene: racconta, mima, certe volte ride alle sue stesse battute. E’ padrone dell’intero palco scenico; lo stesso presentatore non riesce a smettere di ridere. E’ compiaciuto Mattia, andrebbe avanti per ore in quella situazione. Quando la telecamera di Telelombardia lo riprende in primo piano, tuttavia, una lacrima cade dal suo viso. Forse si rende conto di quello che è, si rende conto che la gente ride mentre lui è lì a sfogarsi con loro, forse cerca di farsi capire. Probabilmente se qualcuno del pubblico andasse lì a fine spettacolo e gli dicesse “poverino” quella lacrima esploderebbe in un pianto liberatorio… Ma da che cosa?

Finisce il numero alle 21:42… Adriano ha sforato coi tempi addirittura. Quando dietro le quinte i suoi colleghi gli fanno i complimenti lui corre in bagno, evitandoli: si sciacqua il viso, slega i capelli, e si guarda nuovamente allo specchio. Scoppia, esplode, riflette: allora la sua vita è proprio questa? Uno schifo, distante da tutto e da tutti, anche dalla persona di cui in teoria è innamorato… Un uomo solo. Certamente solo, ma uomo? Che uomo? Che vita? Qual’è la verità? La verità è che ormai non ne può fare a meno. I suoi rapporti sono quelli che ogni società impone agli individui, ma essendosi abituato non potrebbe vivere senza. Un legame che in realtà un legame non è, una compagnia che in realtà non esiste. Adesso Romilda sa cosa pensa di lei. Non è una stupida anche se non ha fatto nomi è facile collegare le cose. Ma forse è meglio così, tornerà a casa e affronterà finalmente tutto e tutti. Peggio di così non può andare… le cose possono solamente cambiare e questo è già un passo avanti per Mattia, un chiaro esempio che egli questa vita la stia vivendo veramente. Risoluto, si asciuga le lacrime, si risciacqua la faccia e con gli occhi ancora rossi esce dal bagno. Entra nel camerino prende il suo taccuino deciso a portarlo a Romilda. Sa già cosa dirle: “leggi Romilda, questo sono io; i miei pensieri. E tutto ciò che hai visto stasera è tutto quello che sono… o forse la sola cosa che sono”. Per strada continua a riflettere. Probabilmente aprirà la porta di casa e non troverà nessuno, Romilda sarà andata a stare dalla mamma, il suo armadio vuoto, le sue inutili cazzate, di cui già sente la mancanza, non ci saranno più. Pensa… o forse spera… Aumenta il passo, vuole sapere al più presto di che morte dovrà morire, questa volta. E’ davanti alla porta di casa; gira le chiavi nella serratura e apre lentamente la porta, spaventato. Rimane sul pianerottolo. Sua moglie è lì in piedi, ad accudire la madre. Mattia è ancora più spaventato. Chiede che è successo. E Lei, acida, gli chiede se si è divertito al suo spettacolino e se ogni tanto controlla il cellulare. Sua mamma si è sentita male, un calo di pressione probabilmente e i medici dopo averla visitata le hanno detto di non fare ulteriori sforzi. Si sarebbe fermata qualche giorno in più da loro. In tutto questo trambusto Mattia capisce che nessuno ha guardato il suo numero in tv. E probabilmente nessuno l’avrebbe mai fatto. Non capisce se esserne felice o triste. Non riuscendo a dormire quella notte torna a teatro. E’ ancora aperto. Si ferma in platea a guardare il palco. L’uomo delle pulizie gli si avvicina e gli chiede chi egli sia. Mattia non sa rispondere. La realtà è che Il fu Adriano Meis seppur per 12 minuti.

Tornando a casa riflette, triste ma sollevato, malinconico perché tutto sarebbe potuto cambiare ma, forse per fortuna, forse grazie al caso, tutto è rimasto com’è. La sua “non-vita” sarebbe continuata così: triste, monotona, grigia. Il teatro sarebbe stato il suo modo di rappresentare la sua vita, il suo modo di vivere realmente. Che ridere.


Grazie


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