Foto di scena. ©Paul De Malsche
Editing. ©Giulio Sonno

Il tradimento come surrogato di felicità

Il teatro dei belgi tg STAN accende Short Theatre con Pinter

E se l’amore fosse un copione già scritto? Un’incognita destinata a ripetersi all’infinito in cui gli uomini sono soltanto le variabili di un’unica legge?
Nel 1978 Harold Pinter scrive Tradimenti, ovvero: individua, estrapola e getta sul palco con ferocia e ironia quella formula sempre uguale a sé stessa che sottende ogni rapporto sentimentale e, attraverso una banale storia d’amore, la adatta infine ad altre leggi—quelle dell’upper class inglese degli anni Settanta.

Ai lati del palco della Pelanda, dove è ospitata la messa in scena della compagnia belga tg STAN – all’interno di Short Theatre 11 –, una pila di libri accatastati e altri oggetti descrivono con rapide pennellate un interno borghese scarnificato. Così come scarnificata all’osso è la  parola di Pinter che si andrà a pronunciare, volta a svelare e nascondere allo stesso tempo, a costruire un mondo per poi l’attimo dopo demolirlo.

Foto di scena. ©Paul De Malsche

Emma (Jolente De Keersmaeker) è sposata con Robert (Frank Vercruyssen), ma da sette anni lo tradisce con il suo migliore amico, Jarry (Robby Cleiren).
I tre attori sono tutti in scena, tradendo fin da subito il realismo della rappresentazione e trasformando piuttosto il palco in una sorta di ring del voyeurismo dove con grande fluidità di movimento e pensiero si ripercorreranno a ritroso – e questa è l'”anomalia” drammaturgica adottata da Pinter – le tappe che hanno portato l’amore dei due amanti a nascere. Lungo le note del giradischi Emma si cambierà di abiti e insieme di età, gli uomini si scambieranno bicchieri d’alcol come le bugie e le rivelazioni, passando per egoismi, meschinità ed emozioni represse in nome di un egoistico istinto di autoconservazione. Il tradimento diventa così un surrogato di felicità per sfuggire alla noia di un’esistenza troppo rispettabile e appagante.

Così, il tradimento non è sviscerato da Pinter  nel suo dramma psicologico, come la regia abilissima del collettivo di registi-attori sottolinea, bensì nella critica implacabile dell’ideologia borghese che lo sottende; una critica che passa chiaramente attraverso la parola – a cui tg STAN dona la sua necessaria centralità – e ai rapporti di potere che questa è in grado di costruire. È così che si viene a creare un efficace cortocircuito fra la costrizione a cui vincola la partitura rigorosa delle parole pinteriane e l’ipotetica libertà della messinscena (poiché, nel lavoro della compagnia, quasi non si prevedono prove in senso tradizionale, se non a tavolino) in grado di trasformare così uno spettacolo pre-confezionato in un processo organico in continuo divenire che si nutre dell’alchimia sempre diversa sia fra gli interpreti stessi sia con il pubblico.

Foto di scena. ©Paul De Malsche

Trahisons scava nient’altro che nella vita stessa: nel suo fluire inafferrabile, tg STAN la fissa con impressionante naturalezza nell’artificio del teatro e con esso la confonde, scavando nei suoi interstizi più miseri e mediocri, nelle sue piccole gioie e illusioni,  come nelle zone più sfacciatamente intime, quasi da mettere a disagio; conferendo infine nuova freschezza, vitalità e tormento sotterraneo a questi personaggi oggi un po’ datati, che forse Pinter per primo disprezzava e metteva a nudo senza pietà.

Harold Pinter sulla scena contemporanea:
• La Serra – Marco Plini, di Manuela Margagliotta
• Old Times – Stephen J. Middleton, di Daniel Montigiani
• Una specie di Alaska – Valerio Binasco, di Elena Cirioni
• Il ritorno a casa – Peter Stein, di Giacomo Lamborizio

Ascolto consigliato:

La Pelanda, Roma – 9 settembre 2016

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