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Sui Marciapiedi

Il noir di Preminger torna in sala in versione restaurata

«Quando giro, ho due cose in mente. La prima, di fare un film in cui non si avverta la presenza del regista. La seconda, di girare la scena nel modo che ho scelto e attenermi a quello.» Parola di Otto Preminger, cineasta tra i più grandi e dimenticati della grande stagione del cinema americano classico.

Ucraino di nascita, figlio di un avvocato ebreo e cresciuto a Vienna, dopo aver mosso i primi passi come regista teatrale, abbandona il Vecchio Continente nel 1935, quando il vento del nazismo comincia a minacciare la libertà di artisti e intellettuali. In America, come molti altri cineasti della mitteleuropa più colta e raffinata, lontano da quelle censure ideologiche verso cui è sempre stato refrattario, porta a maturazione una sua personale idea di cinema, confrontandosi tuttavia con le limitazioni imposte dallo studio system. In America, nel 1944, gira uno dei suoi film più importanti, il caposaldo del noir Vertigine, con Dana Andrews e Gene Tierney. Al genere e alla stessa coppia di attori protagonisti, Preminger torna qualche anno più tardi per girare Sui marcipiedi (1950), ridistribuito dalla Lab80 a partire dal 1 Dicembre nelle sale italiane, in versione digitale restaurata.

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Teso e impregnato di realismo metropolitano, Sui marciapiedi porta la firma di un grande sceneggiatore come Ben Hecht. Se la scrittura di Hecht lavora sul ritmo e sulla densità del racconto, la regia di Preminger si pone totalmente al servizio della storia, contraddistinguendosi per fluidità e dinamismo. Essenziali nella costruzione del tono del film sono i suoni e gli spazi, evocativi di una New York bassa e notturna, a partire dai bellissimi titoli di testa scritti con il gesso sui marciapiedi. Fondamentale, come in ogni film di Otto Preminger, è il “fattore umano”, incarnato dagli attori e elaborato attraverso una precisa caratterizzazione dei personaggi. Come in più occasioni ribadito da Preminger, scrittura dei personaggi e direzione degli attori sono probabilmente i due momenti centrali del suo metodo di lavorazione.

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Ed è sulla figura di Dana Andrews/Mark Dixon che Preminger concentra la sua attenzione, spingendo l’attore verso registri recitativi di grande intensità e cogliendo la dimensione drammatica del personaggio mediante un uso insistito dei primi piani. Snodo psicanalitico sotteso al film, nonché topos ricorrente nel cinema premingeriano, è il rapporto con la figura paterna, risolto in Sui marciapiedi dentro la dinamica di riscatto di un figlio “tutore della legge” rispetto all’esempio negativo di un padre fuorilegge. Riscatto che si completa e amplifica, non a caso, con il riconoscimento dell’innocenza di un altro genitore, il padre di Morgan (Gene Tierney).

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«Se io abbia stile o no, sarà deciso da chi si occupa di film, registi, cinema; forse, quando sarò morto, se qualcuno ne avrà il tempo, guarderà tutti i miei film insieme e scoprirà qualcosa in loro, cioè uno stile.» Non è mai troppo tardi per imparare dai maestri. L’opportunità di riscoprire un autore come Preminger in sala è quindi da non lasciarsi sfuggire.

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