Una Naomi Kawase molto intima in Still the Water. La storia è semplice e scorre lenta, quasi seguendo l’alternarsi delle correnti marittime. Protagonisti due giovani ragazzi dell’isola Amami, luogo in cui tutti gli elementi della vita sono a strettissimo contatto. Un luogo intimo dove si perpetua la vita come la morte, sorretto dalla malinconia come dalla memoria. Un luogo dove non può succedere molto ma dove la brezza come una battito di ciglio può diventare tempesta, ed il maremoto si manifesta anche nell’anima.
Naomi Kawase ha coscienza della terra, attraverso tutto ciò che lei può esprimere a noi; un panteismo sempre più distante se non in piccole società che rimangono quasi intatte dalla contemporaneità Still the Water cerca questo stremo legame, con simboli intimi, piccoli gesti e grande contemplazione. Tutto appare riflettersi in attesa di un sentimento spesso così timido da non esser espresso, per non turbare nulla e nessuno. Nemmeno la natura.
Terra ed aria, acqua e fuoco, si fondono o forse sembrano essere sempre stati sposati in un immagine che spesso non riusciamo più a cogliere. Fascinazione iconografica tra parola e colore; un’epopea che mostra tutte le possibilità d’essere di un immagine, ne sviscera la bellezza intrinseca alla semplicità. Anche la colpa fa parte di questo quadro, mai idilliaco ma sempre sospeso tra gli occhi ed i polmoni. Fino a quando tutto diventa ricordo. Proprio in questo trattenersi, in questo non esporsi troppo si può trovare un piccolo limite nel film della Kawase, ma è praticamente impercettibile. Still the Water attraversa la quotidianità e restituisce l’intima magia del vivere in maniera sensibile.