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Mai ci eravamo annoiati – Renata Adler

“C’erano alcuni squali intellettuali, alcuni arrivisti, alcuni pecoroni, anime buone, professori, direttori generali, alcuni sinistroidi di quelli che a loro volta invitavano poeti, romanzieri, universitari, ribelli e inglesi di passaggio a cene servite da cameriere”

Un coacervo di prototipi ed etichette, così si presenta a primo impatto Mai ci eravamo annoiati (Mondadori, 2014), opera narrativa della giornalista statunitense Renata Adler, pubblicata nel 1976, apparsa nelle librerie italiane lo scorso 25 Marzo.

Difficilmente ascrivibile a un genere letterario, più che un romanzo, più che uno scritto memorialistico, la narrazione della Adler sembra presentarsi come una nuova forma di reportage, costruita su un’attenta osservazione sociologica; si ha infatti l’impressione che l’autrice, reporter di punta del New Yorker dal Vietnam, abbia applicato al jet set newyorkese lo stesso sguardo fotografico utilizzato nelle zone dei conflitti.

La protagonista, Jen Fain, giovane giornalista dello Standard Evening Sun arrivata a New York dalla provincia, osserva e ricorda – sbalordita ma pur sempre con fare bonario – le ipocrisie e i dogmi sia degli ambienti newyorkesi d’élite che si trova a frequentare sia delle isole esotiche dove viaggia per diletto o lavoro. Degli eterogenei ambienti in cui si muove, Jen sembra catturare soprattutto bizzarrie ed eccessi, resi dall’autrice con tono ironico, spesso dissacrante, e in grado di suscitare ilarità nel descrivere isterie, teatralità e frivolezze degli estrosi personaggi (atleti ipocondriaci, scrittori che non scrivono, tassisti asiatici con tendenze sadomasochiste).

La lettura rischia di interrompersi spesso a causa dei numerosi voli pindarici che tendono a lasciare un po’ spaesato il lettore; tuttavia, avanzando nei racconti, si ha l’impressione che con questa scelta narrativa la scrittrice abbia voluto rendere l’idea dello stordimento che possono causare le innumerevoli sollecitazioni, culturali, artistiche o semplicemente linguistiche, che si ricevono, a un ritmo frenetico, in una città come New York.

La dote immediatamente apprezzabile di questo lavoro della Adler risiede nell’attualità ed universalità delle situazioni descritte. Fa infatti sorridere pensare a quanto certi “format” sociali si dispieghino – diremmo da sempre – in una metropoli come New York, così come in ogni altra città che sia covo di artisti, intellettuali, pensatori, o aspiranti tali. La sensazione al termine della lettura, ad ogni modo, è che dotando il racconto di un plot di base l’opera narrativa ne avrebbe guadagnato in linearità e, a tratti, in comprensibilità.

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