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Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti

La mostra che celebra la carriera di Michelangelo Antonioni traccia un itinerario nella vita artistica e lavorativa del maestro, attraverso le testimonianze di libri, fotografie, scambi epistolari, filmati inediti insieme alle opere degli artisti del Novecento che hanno influenzato il suo cinema e a produzioni proprie, come la suggestiva serie delle montagne incantate. La varietà di fonti e di approfondimenti nelle nove sezioni in cui si articola l’esposizione aprono possibilità a diversi livelli di lettura senza sviare il messaggio di fondo: primo regista italiano ad intuire l’importanza del valore empatico del rapporto immagine-spettatore, Antonioni compie un salto magico dal neo-realismo al “cinema-pensiero”, in cui la parola diventa dettaglio irrilevante.

Seguendo il percorso cronologico della sua carriera, si passa dai primi film (Cronaca di un amore, Le amiche) alla così detta Trilogia dell’incomunicabilità (L’avventura, La notte, L’eclisse) in cui i tempi morti e gli spazi vuoti definiscono il “senso” di uno stato d’animo celato. Le immagini scelte rimandano, per affinità stilistiche, alle opere novecentesche di De Chirico, Morandi e Sironi. I pannelli della fase matura della sua produzione, ci mostrano, invece, un Cézanne della macchina da presa, che stravolge i principi di spazio e colore, ponendo il punto di vista in una condizione di indeterminatezza. Stacchi improvvisi delle sequenze e prospettive multiple scardinano i canoni del montaggio classico per una rappresentazione totale della realtà, come nella scena delle esplosioni in Zabriskie Point, qui affiancata da un dipinto di Mario Schifano.

Nella sala dedicata a Il Deserto Rosso troviamo un inedito filmato dei provini di Monica Vitti e una curiosa descrizione sulla simbologia dei colori scenografici, in cui il rosso diventa l’antenna di ricezione delle scene d’amore così come il pastello delle scene di desolazione. L’assonanza della semantica del “colore dei sentimenti” con l’Arte Informale è rappresentata da due tele di Rothko e di Alberto Burri. L’apice dell’incapacità di cogliere l’attimo nel quotidiano viene raggiunto però in Blow Up, a cui è rivolto l’ennesimo allestimento: un’indagine scientifica del reale che porta all’immagine ultima del mistero dell’inafferrabilità dell’apparenza. Il riferimento alla Pop Art è una stampa di Titina Maselli (Parliamo di Pittura) campeggiante su una parete colorata di verde.

Il viaggio si conclude con le ultime produzioni del maestro: i documentari degli anni ’70, le pellicole dei primi anni ’80 e quelle seguite alla malattia (Al di là delle nuvole ed un episodio della trilogia Eros). Ma sopratutto con il commovente documentario Lo sguardo di Michelangelo, in cui il maestro, con la “voce degli occhi” e lo stupore del fanciullo, si interroga sul mistero dell’Arte. Ultima preziosa testimonianza di come Antonioni abbia restituito al cinema la sua prerogativa: essere la rappresentazione, non della parola, ma dello sguardo quale “autentico occhio sul mondo”.


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