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Amore in variazione graduale – Terza puntata

“Cosa bevi’?”
“Quello che prendi tu”
“E se poi non ti piace?”
“Allora dovrò prenderne un altro”
“Tutto qui?”
“Tutto qui”

La notte è piena di gente che non si ricorda il titolo del suo film preferito, chi sa anche il nome del costumista va a letto presto.
Gli happy hour, in quegli anni squallidi, erano puro training autogeno per smaltire la mole assurda di manuali di sopravvivenza che avevamo ingurgitato spedendoli dritto in testa alla classifica dei bestseller.
Avevo preso una strada a caso e avevo cominciato a camminare cercando in ogni volto qualcosa che assomigliasse ai suoi tratti. Non avevo mai fatto caso alle facce delle persone intorno. Capitavano volte in cui camminavo per ore e tutto quello che serviva al mio sguardo era solo un certo spazio per lasciare liberi i pensieri. Ma a questo giro avevo fame di volti, ogni faccia aveva una storia, ogni faccia stava concludendo qualcosa, ogni faccia poteva essere lei, nessuna distrazione, anche la facile constatazione che alla fine tutte le facce un po’ si assomiglino, anche il banale ostacolo di suddividere le varie tipologie. La natura umana a volte rischia di essere prevedibilmente curiosa.
Il problema della città di quei tempi e che avevano messo in soffitta il centro, erano i tempi delle zone, ogni quartiere della città, dalla più ricca alla più povera, aveva la sua zona adibita alla follia alcolica. E c’era sempre una nuova zona di tendenza che arrivava a fregarti.
Si trattava di marciapiedi e anche se qualcuno ci aveva pure costruito su una teoria urbanistica, si trattava pur sempre di pezzi di cemento rialzati da percorrere avanti e indietro, e se lei era ancora lì, allora avrei dovuto trovarla. Teoricamente e praticamente. Nessun conflitto di idee.

“Ehi, ti è caduto qualcosa”, una voce di ragazza aveva interrotto la mia indagine sulla fisionomia del popolo della notte. Senza pensarci, pur sapendo che non potevo aver perso niente dalle tasche, le risposi, “Cosa?”
“Il sorriso”, e… sorrisi. Non potevo fare altrimenti. Certe ragazze usano la loro bellezza come il macellaio il coltello. Però alla bellezza si sorride sempre.
Anche solo se fosse per constatare la mancanza di finezza.
Doveva essere in qualche modo disgraziato la mia notte, una ragazza mi aveva baciato all’improvviso e senza nessun apparente motivo, un’altra ci stava provando, e anche lei senza nessun apparente motivo. E per di più erano tutte e due bellissime.
Qualcosa doveva essere andato storto in fase di progettazione, ma non avevo nessuna intenzione di andare a far reclamo.
Accesi una sigaretta, che fosse lei a darmi un tono?
Il freddo era relativo alla voglia che avevi di star fuori. E i locali erano stati costruiti per vendere chupito a luglio, non per ospitare chiacchierate invernali.
E comunque si era quasi a primavera, nonostante i rimasugli di neve.
Nella prima zona della città lei non c’era, decisi di provare dietro la stazione. Una via lunga, negozi chiusi, qualche panchina dove nessuna si sedeva mai, le luci dei lampioni che aspettavano invano rumori di festa, ma si era riservato altro destino a quella parte della città.
“Cosa stai cercando?”
“Una ragazza”
“Anche tu? Ma non avete altro da fare che stare sempre a cercare ragazze”.
Eppure aveva ragione.
“lo sapete che loro arrivano sempre quando non le aspettate”.
“E appunto. Non e che io lei la aspettassi. E piombata così all’improvviso, mi ha baciato e poi è scomparsa”.
“Ti sta cercando?”
“Che io sappia no”
“E allora vedi che non cambia niente, sempre voi siete che cercate loro”.
Istintivamente buttai la sigaretta, un conto è darsi un tono con due ragazze decisamente giovani e decisamente belle, un conto è darsi un tono con una che potrebbe essere la zia brava, quella zitella. Quella che ha la bilancia in bagno ma non per lei.
E se non c’è due senza tre, speravo proprio che non fosse lei il mio tre.
L’avevo già vista altre volte, era una senzatetto, una barbona. Il vocabolario per definire certe situazioni si è fatto, ultimamente, sempre più scomodo, via via togliendo possibilità di definizione.
Aveva scelto quella panchina come regno, cartoni che pubblicizzavano prossime uscite editoriali facevano da tetto, due grandi e lerci zaini da montagna verde sbiadito raccoglievano tutti i suoi averi.
I capelli corti, a spazzola, grigi. Una faccia piena. Ma non di salute.
Gli occhi stretti, piccoli e stanchi ti guardavano senza sorpresa e senza timore. Sapeva perché era lì e non aveva nessun rimpianto né nessuna voglia di raccontarti come era andata.
Si sentiva sola in quella parte della città, ma d’altra parte si sarebbe sentita sola ovunque, quindi tanto valeva stare lì, almeno aveva un alibi. Poteva sempre prendersela con il comune per non sfruttare abbastanza le potenzialità di quella via.
“Me la offri una sigaretta?”
“Certo”
“Siediti”
“Certo”
“Certo”
“Cosa?”
“Certo”
Mi sedetti accanto a lei cercando di non far vedere, anche se sapevo che non ci avrebbe prestato la minima attenzione, che prendevo fiato e che avevo paura di qualsiasi odore avrei trovato lì seduto.
“Raccontami qualcosa”
“Raccontarti qualcosa? Ma in verità non è che abbia gran che da raccontare. Boh, non lo so, cosa vuoi che ti racconti?”.
“Questo è un problema, davvero. Vivete, bevete, spendete, studiate, e non avete mai un cazzo da raccontare di interessante”.
Eppure aveva ragione. Più ci pensavo e più non avevo un cazzo di interessante da raccontare e da raccontarle.
“Be c’è che una ragazza, che non avevo mai visto prima e che stasera mentre raggiungevo i miei amici dopo una serata abbastanza piatta con dei miei ex-compagni del liceo mi ha baciato, così all’improvviso”.
“Questo me lo hai già raccontato”.
“Adesso la sto cercando”.
“E una volta che l’hai trovata?”.
“Beh non lo so, vorrei sapere perché mi ha baciato”.
“Vorresti sapere perché ti ha baciato?”.
“Si, poi magari le offro da bere e chiacchieriamo un po’, non lo so, è una situazione un po’ strana”.
“Si. Non avete proprio un cazzo di interessante”.
Aveva finito la sigaretta, si alzò e fece due passi intorno alla panchina, sembrava galleggiare su acque mosse, come se fosse per la prima volta su una tavola da surf.
“Di qui non è passata nessuna”.
“Grazie”.
“Mi lasci il pacchetto di sigarette per favore? Così non devo, la prossima volta che voglio fumarne una, fare lo stesso teatrino che ho fatto con te”.
“Ok… tieni”.
Ero completamente spiazzato, decisi di tornare indietro e provare a cercare da qualche altra parte.
“Ehi, quando la trovi, se la trovi, non sforzarti di essere interessante solo perché ti sei fatto una brutta figura con me”.

Neil non si chiamava Neil, si chiamava Andrea, ma per tutti, e per lui per primo era Neil.
Sempre meglio di chi si fa chiamare cucciolo.
Neil aveva che abitava in un posto strategico, un posto da cui si ripassa sempre e così anche quella notte, per la seconda volta passai di lì, magari aveva finito la discografia di Nick Cave e poteva darmi qualche suggerimento.
Quando arrivai mi aprì in mutande, le cuffie in testa.
“Prenditi pure una birra, sto cominciato la discografia completa di Lou Reed, ciao”.
Presi una birra e gli raccontai tutto, anche se lui non tolse mai le cuffie.
C’è da dire però che annuiva sempre. A intervalli regolari.

“Cosa bevi’?”
“Quello che prendi tu”
“E se poi non ti piace?”
“Allora dovrò prenderne un altro”
“Tutto qui?”
“Tutto qui”
Cercavo in tutti modi di non provare a fare l’interessante. Lei era proprio lì. Davanti a me.
Appena uscito da casa di Neil l’avevo intravista in un locale dall’altra parte della strada.
Mi aveva riconosciuto subito.
Non le chiesi del bacio. Feci lo sciolto.
Ed era proprio bella. Non si può dire di più.
Con il tempo ho imparato che dire che una persona è bella vale molto di più di tutto quello che potresti mai dire.
Lei era bella.
Quella notte.
Il locale era affollato, la gente continuava a spingere e passarci in mezzo, la vedevo sparire tra le spalle di chi passava e ogni volta che la rivedevo spuntare era una sorpresa agli occhi.
Due ragazzi dovevano ordinare, dovevamo spostarci da lì.
Mi girai un attimo per controllare se c’era spazio libero e quando mi rigirai lei non c’era più. Pensavo fosse uscita e uscii anche io. Ma lei non era neanche lì.
Rientrai, cercai ovunque. Ero in affanno. L’avevo trovata, e sembrava importante. Volevo approfondire. Capire. Non potevo riperderla subito.
Ma lei era di nuovo sparita.
Uscito dal locale vidi un gruppo che si allontanava dall’altra parte della strada, senza pensarci attraversai.
Non fu tanto il dolore, forse lo spavento. Il contatto con il parabrezza, la sensazione di qualcosa che ti prendeva senza assicurarti una caduta soffice.
“Scusa… sei apparso all’improvviso e non ho fatto in tempo a frenare”.

La mia notte in variazione graduale stava salendo picchi insoliti.

Un uomo in pigiama dentro un taxi londinese, fuori servizio, mi aveva appena investito.


Grazie


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