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La notte su di noi

Un action movie epico e truculento che si inserisce sulla scia tracciata da The Raid

Nel Sud-est asiatico la Triade controlla gran parte dei traffici di droga. Al fine di mantenere il controllo del territorio, si avvale di un’organizzazione di temibili sicari scelti, ognuno a capo di una propria fazione, sopranominata “Sei Mari”. Il loro compito è quello di mantenere l’egemonia della triade sui trafficanti e sulla piccola criminalità locale. Il più carismatico di loro, Ito (Joe Taslim) durante un’azione punitiva nei confronti di un villaggio di pescatori che si intascava indebitamente dosi cospicue di cocaina, si ferma davanti lo sguardo innocente di Reina. Di fronte alla prospettiva di dovere uccidere una bambina che lui ha appena reso orfana, decide di rivolgere il fucile contro i suoi scagnozzi e di salvarla. Torna così dai suoi ex-alleati per trovare rifugio. Ma la Triade non perdona facilmente e invia i rimanenti 5 assassini al loro soldo sulle sue tracce. Tra loro vi è anche Arian (Iko Uwais), l’amico più caro di Ito.

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Il nuovo action indonesiano sta facendo passi da gigante, raggiungendo alte vette di qualità. Gareth Evans, ha fatto da apripista con il suo primo Merantau (2009) ma soprattutto con i successivi The Raid (2011) e The Raid 2: Berandal (2014). Film che hanno portato in auge il Pencak Silat, lo stile di combattimento tipico di quel Paese, di cui lo stesso Evans è un cultore. Su questa scia si inserisce La notte su di noi (The Night Comes for Us , 2018) un’esclusiva Netflix prodotta dalla XYZ films (stessa casa di produzione dei due The Raid). Il regista Timo Tjahjanto confeziona un’opera capace di sintetizzare al meglio le più importanti esperienze precedenti indonesiane e non solo: evidenti sono gli echi da autori quali John Woo, Park Chan-wook, Takashi Miike. Ma ciò non lede l’originalità del risultato finale.

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Fin dall’inizio si capisce che l’obiettivo del regista è tessere una trama semplice per inscenare combattimenti all’ultimo sangue a colpi di machete, shuriken, palline da biliardo e altri oggetti con cui annientare, far saltare denti e uccidere. La sceneggiatura può risultare troppo intricata e gerarchica: sulla semplice base di una lotta tra il bene e il male, si inscenano flashback e digressioni poco approfondite che indeboliscono il quadro generale dell’opera. Ma il punto cardine sono esclusivamente i balletti armati. Perfetto per rendere tangibile la rabbia dei personaggi, Il Silat, citato prima, permette lo sviluppo di coreografie di lotta crude e violente, qualunque sia la location (un corridoio, una macelleria, la camionetta della polizia), qualunque siano le armi (mani nude, armi da taglio, armi da fuoco, oggetti occasionali). Ed è su tali coreografie che Tjahjanto edifica il suo film, un action movie epico e truculento come mai si erano visti sulla piattaforma di Netflix e che fa ben sperare in future collaborazioni con questo e altri registi della ultra violenza sud-est asiatica.

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