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La casa sopra i portici – Carlo Verdone

Un’immagine apre, un’immagine chiude. Così si entra e così si esce da La casa sopra i portici, come succede in un film. Si guarda dall’esterno, in soggettiva: protagoniste le finestre dell’edificio di Lungotevere dei Vallati 2 e, sempre in soggettiva, si termina guardando la casa rossa sopra i portici, che si vedeva dal terrazzo di casa Verdone.

La casa sopra i portici è un romanzo, la biografia di una dimora, quella di Carlo Verdone e della sua famiglia, fino a pochi mesi fa. Seppur si tratti di carta e parole, la scelta dell’immagine, duplicata, come fossero i titoli di testa e coda di un racconto per immagini, dichiara l’identità non solo dell’abitazione – soggetto del romanzo – ma anche del narratore, d’altronde regista, uomo di immagini appunto, come spesso si ribadisce. Succede “nella direzione della fotografia” a pagina 13 – Era tutta penombra. Tagli di luce provenivano dalle finestre (…). Ma era una luce grigia. (…) – e nell’architettura del quadro focale a 32 – (…) scrutare cosa succedeva dentro quei rettangolini luminosi – in cui racconta l’osservazione, tipicamente cinematografica, delle finestre in prossimità del proprio punto di visione.
Avevo con me la macchina fotografica: Verdone rinnova il bisogno di imprimere l’immagine, anche nella descrizione dell’ultimo ingresso nella casa, ormai svuotata dalle suppellettili, dalle cose materiali, eppure così piena, ingombra, arredata di ricordo.

C’è anche un senso della poesia in queste pagine, pur facendo lui commedia: leggendo il romanzo entriamo per mano con Carlo in ciascuna delle stanze, che sono intrise di profumi, odori e rumori, quelli della musica soprattutto, sua amata.
Lo scrittore Verdone scrive di cielo tappeto, pioggia a vento e platani che corteggiano, inglobando nella narrativa una poesia prestata alla prosa o, forse di più, parole che facilmente riescono a “far vedere”, come fa il cinema, quella sua casa. Entrando nelle stanze fisiche, entriamo anche in quelle della psiche, sua e di quelli che l’hanno abitata, visitata, vista di rimpetto, come Alberto Sordi. Ricorda Verdone che solo… nell’82 entrò per la prima volta in casa, pur guardando da anni, entrambi, sulle Zoccolette, il vicolo in comune che, come specifica lo scrittore, non poteva non preludere ad un comune cinema d’ironia.

“Questo libro è il mio film più importante”, così recita il retro di copertina (e niente di più sarebbe corretto e sensibile aggiungere a questa emozione che, sola, vive nello spazio interamente bianco della fine del libro, capace di quell’essenzialità narrativa e malinconica nostalgia proprie dell’intero racconto).

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