Miopi all’esistenza
La danza di Abbondanza/Bertoni e Zappalà a Orizzonti Festival
Per la compagnia Abbondanza/Bertoni siamo ciechi perché non riusciamo più a vederci veramente. Per Zappalà Danza non sappiamo mettere a fuoco ciò che siamo e chi abbiamo davanti.
È interessante notare come per entrambe le compagnie di danza ospiti a (e coprodotte da) Orizzonti Festival la crisi passi attraverso la vista, letterale e certamente metaforica; senso lucido-opaco attraverso cui cogliere un malessere sociale secondo le rispettive poetiche e linguaggi. In fondo, per parlare della follia che caratterizza questa edizione del festival, certo non ci si può esimere dall’innestare una riflessione sulla società in cui viviamo, o sull’individuo e la sua relazione con essa.
Sembrano questi i macro-temi su cui si soffermano le rispettive creazioni delle due compagnie.
• Gli orbi – Abbondanza/Bertoni
Orbi, quindi, perché “non vediamo più”, o forse perché vediamo troppo e non ci meravigliamo più di niente. In un mondo dove l’immagine è il filtro attraverso cui passa tutta la nostra esperienza, che cosa vuol dire vedere? Forse l’unico modo per ribellarsi all’immagine, è eliminarla al principio. Sul palco del Teatro Mascagni si aggira ciò che resta dell’uomo contemporaneo: cinque figure pallide (Eleonora Chiocchini, Tommaso Monza, Massimo Trombetta, Michele Abbondanza, Antonella Bertoni), zombie bendati e spaesati, che si tengono per mano perché è l’unico modo che hanno per rimanere a galla. Al ritmo di una musica crescente sempre più martellante formano infine un cerchio, iniziando una danza sciamanico-virtuale scandita a colpi cupi di techno nella perdizione della notte (elaborazioni musicali T. Monza).
È un’umanità che ha perso la propria bussola spirituale, costretta così a girare in circolo senza mai progredire in un vortice di gesti perfettamente sincroni, ipnotici quanto inafferrabili, che tradiscono anche un anelito al gioco pur nel rigore serrato e impeccabile della coreografia (cfr. In girum imus nocte di Castello/Aldes). Eppure, a volte c’è qualcuno che si divincola per liberarsi da questa spirale senza fine e cercare la propria emancipazione, mostrando il proprio disagio dritto davanti al pubblico, forse proprio per cercare in lui aiuto.
Con intermezzi corali di teatro-danza, assoli, frammenti di parole, verrà così alla luce una carrellata di umanità affogata nel peccato – ormai non più bendata: per vedersi finalmente per ciò che è – piccole allegorie grottesche dei vizi e delle ossessioni che attanagliano il presente: come la vecchiaia, con cui Bertoni si dovrà confrontare, lottando contro il suo stesso ricordo e infine arrendendosi a trasportarlo sulle sue spalle; oppure l’edonismo a tutti i costi, e ancora l’ossessione per il sesso, il conformismo o il culto del selfie.
Orbi è un fotogramma della società contemporanea in tutta la sua miseria e tenerezza, che sottende una critica aspra e al contempo getta uno sguardo di comprensione più ironica sulle debolezze umane senza la pretesa di giudicarle. Un’umanità che suscita pietà per la sua condizione miserabile e insieme per lo sforzo di liberarsi dal vizio, alla ricerca di una possibile redenzione dalla vergognosa evidenza dei propri peccati proprio attraverso la danza.
• Romeo e Giulietta 1.1, la sfocatura dei corpi – Zappalà Danza
Chi sono Romeo e Giulietta, oggi? E perché non riescono più a vedersi? Sembra essere questo il punto di partenza di Roberto Zappalà per il suo Romeo e Giulietta 1.1, la sfocatura dei corpi, dove la “sfocatura” – come per Abbondanza/Bertoni – parte da una condizione fisica (Romeo indossa una maschera per andare sott’acqua che gli altera la vista) per poi tramutarsi nel cardine metaforico che permea l’intera drammaturgia.
Giulietta (Maud de la Purification) e Romeo (Antoine Roux-Briffaud) si attraggono per la forza magnetica dei contrasti: mora e di carnagione scura lei, biondo e chiaro lui, il pubblico li conosce già prima che loro siano consapevoli l’uno dell’altro, quando ancora, ognuno per sé, sognano un corpo immaginario che non sanno ancora di amare, ma solo fino alla festa in maschera in casa Capuleti.
Fra le note classiche di Prokofiev e quelle più sperimentali di Cage si dipana così la storia d’amore più famosa della letteratura occidentale, ma come la dicitura “1.1” sottolinea, qui non si tratta della versione classica di Romeo e Giulietta, né di una sua radicale riscrittura. L’ostacolo al sentimento dei due amanti non dipende più infatti dalla rivalità fra le casate dei Montecchi e dei Capuleti bensì da un malessere interiore che sfocia nel sentirsi sfocati: ovvero fuori posto o fuori luogo rispetto a un ambiente esterno che si percepisce estraneo, nell’impossibilità di trovare un proprio punto focale e quindi la giusta distanza fra sé e gli altri, fra sé e l’essere amato. È questo che succede ai due protagonisti, come anche al personaggio del film Harry a pezzi di Woody Allen, i cui spezzoni sonori irrompono all’interno della coreografia insieme ad altre citazioni di voci a modo loro “fuori fuoco”, come Luigi Tenco o Elvis Presley (testi a cura di Nello Calabrò).
Così, il movimento dei danzatori è a tratti speculare e parallelo senza poter incontrarsi, ogni abbraccio perso per un soffio, il desiderio sempre in tensione verso un contatto che sancisce anche l’impossibilità di esser-ci fino in fondo. Come succede nell’ultima, struggente sequenza finale, che è insieme amplesso, lotta per la sopravvivenza, volontà di controllo o di sopraffazione dell’altro.
La follia è non riuscire a vedere ciò che siamo diventati; è sentirsi sfocati nell’ambiente circostante e con se stessi. Così, la compagnia Abbondanza/Bertoni e Zappalà danza offrono spunti di riflessione importanti su nodi cruciali della contemporaneità, dove è la danza a incidere sulla realtà e viceversa attraverso la narrazione del sentimento vivo del corpo, che si dimostra ancora una volta strumento politico in grado di far vibrare in modo incisivo le corde più critiche del nostro presente.
• Per una sana follia: Quotidiana.com debuttano a Orizzonti 2016 con sPazzi di Vita, di Sarah Curati
• Festival Orizzonti 2015. Minoritario o elitario?, di Giulio Sonno
Ascolto consigliato
Chiusi – 4 e 5 agosto 2016