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Birdman – Alejandro González Iñárritu

A distanza di un anno, è toccato ancora una volta ad un messicano inaugurare la Mostra del Cinema di Venezia. Dopo Cuaròn, è la volta di Alejandro González Iñárritu con il suo Birdman o le imprevedibili virtù dell'ignoranza. Un attore di mezza età in crisi, un tempo popolarissimo protagonista nei film sul supereroe mascherato Birdman. Una famiglia, la sua, a pezzi dopo la separazione con la moglie e la tossicodipendenza della figlia. Una rappresentazione teatrale di alte ambizioni intellettuali, tratta da Raymond Carver, ideale rilancio per una carriera in pieno declino. Questi gli ingredienti del nuovo, atteso film americano del regista di Babel e Amores Perros, il secondo partorito dopo la separazione con lo sceneggiatore Guillermo Arriaga.

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Le analogie con Gravity, film di apertura di Venezia 70, non sono limitate alla sola nazionalità dei registi, peraltro amici, coetanei e sodali. Entrambi i titoli, anche se con modalità diverse, filtrano lo sguardo di autori messicani attraverso la macchina-cinema hollywoodiana, leggendo con un approccio innovativo due generi, la fantascienza e il film di supereroi, del cinema di massa. Ancora, entrambi godono dell'apporto tecnico dell'ottimo Emmanuel Lubezki alla fotografia ed entrambi, infine, trovano nel piano sequenza la loro cifra stilistica distintiva.

Un solco profondo separa i film della cosiddetta “Trilogia della Morte”, che hanno decretato il successo internazionale di Iñárritu, e questo suo nuovo film. Siamo lontani non solo dalle polverose e assolate atmosfere messicane, ma anche dai toni cupi e dai complessi giochi di sceneggiatura che caratterizzavano quei film. L'estrema frammentazione spazio-temporale di quelle storie in Birdman è addirittura ribaltata dentro la fluidità di un unico, virtuosistico, piano sequenza. La storia è interamente centrata su un personaggio, pur con un ottimo cast di supporto. I toni si fanno più leggeri, quasi da commedia brillante in trasferta a Broadway, con un occhio a maestri come Cassavetes e Bogdanovich. Pungenti sono le numerose stoccate contro lo Star System del terzo millennio sebbene in filigrana si percepisca l'ombra di una disillusa amarezza, stemperata da un magnifico finale.

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Non occorre un grande sforzo per riconoscere nell'attore protagonista del film, uno strepitoso Michael Keaton, da Coppa Volpi, il perfetto riferimento reale del ruolo cucitogli addosso da Iñárritu. A lungo intrappolato nella maschera che gli ha segnato la carriera, dopo aver incarnato il miglior Batman di tutti i tempi, da anni Keaton cerca di barcamenarsi con poca fortuna in produzioni che rilancino la sua immagine e le sue innegabili qualità di attore. Questo film, proprio come il ruolo che interpreta, potrebbe fargli nuovamente spiccare il volo. Lui, per adesso, ha dichiarato di essersi sentito soltanto “splendidamente patetico”.

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