arance e martello zoro

Arance e martello – Diego Bianchi

Diego Bianchi, in arte Zoro, firma Arance e Martello, opera prima presentata come evento speciale della Settimana della critica alla Mostra del Cinema di Venezia. Ad agosto, nella giornata più calda degli ultimi centocinquant’anni, in una città deserta, il Comune di Roma guidato da un sindaco di destra (l’Alemanno di un tempo qui interpretato da Giorgio Tirabassi) decide di sgomberare lo storico mercato di Via Orvieto, portando i commercianti a un’autentica ribellione, che trova come unico sbocco la sezione “radicata” nel territorio (quartiere San Giovanni) del Partito Democratico.

Tra docu-fiction e realtà, l’idea è quella di creare una storia che segua le tracce di Fa’ la cosa giusta di Spike Lee – film che racconta la difficile convivenza tra varie etnie, con età, interessi e ideologie diverse, tutte in un unico microcosmo urbano. Il potenziale comico c’è nell’osservatorio sull’Italia di oggi con tanto di riprese amatoriali e satira politica che ha reso Zoro in questi ultimi anni un’autentica celebrità; l’opera è ambientata nel 2011, ovvero nel pieno della crisi governativa che poi condusse Silvio Berlusconi alle dimissioni, ed estremizza “divisione” sociale, culturale, comportamentale dell’Italia di quegli anni, ma anche di questi. Bianchi ha provato a delineare i tratti di un paese sull’orlo di una crisi di nervi, tra quelle quattro mura della sezione in una caldissima giornata agostana; il tutto prende una piega paradossale, comica e drammatica, tra nostalgici comunisti, fascistelli violenti, extracomunitari, politici impresentabili, anziani macchiette e tanti altri personaggi di contorno.

Lo stile è quello che ci si aspetta da Zoro, un po’ sopra le righe, surreale e senza freni legati ai tempi della Tv, dove ha creato il suo metodo che sta facendo scuola, gettandosi nella mischia e in mezzo alla strada, movimentando così il più classicamente seduto dibattito politico. Qui però raggiunge solo a tratti vette inarrestabili. Il rischio, anche se calcolato, è che lo “stampo romano” alla lunga finisca un po’ per stancare, col suo dialetto spinto e un po’ coatto (ma c’è o ci fa?). Tra le note da salvare la fotografia che pur non essendo niente di innovativo riesce a esaltare quell’angolo un po’ sottovalutato della Capitale, tormentato ormai da anni dai lavori della linea C.

Chi segue Zoro, vuoi o non vuoi, non potrà che amare quest’atteso debutto, perché di spunti ce ne sono, anche se la presentazione nella cornice della Mostra del Cinema di Venezia appare un po’ troppo azzardata. A pensarci bene, il film rimane estremamente legato alla televisione, con il potenziale per diventare presenza seriale alla Boris: non ci stupiremmo di trovarlo su Rai 3 nel giro di qualche anno o mese, ma il vero cinema è probabilmente altro. Una cosa è certa: con la sua camera a mano l’ironia non risparmia nessuno, i destrorsi ciechi e un certo tipo di sinistra. Il giudizio finale, in sintesi, potrebbe risentire della presenza di diversi luoghi comuni, a volte anche veritieri (per esempio destra violenta e sinistra tafazziana, commenti catastrofici agostani sulla calura, etc), e la parte finale, dove “l’ha un po’ buttata in caciara” è un’ulteriore mancata opportunità di riscatto dell’intero film. Attendiamo Zoro al varco di una seconda opera, ma sarà dura mettersi in competizione con altri nuovi registi prestati dalla Tv, tipo Pif, che hanno fatto subito centro.

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