Foto di scena ©Gio Lagorio

Angelica – Andrea Cosentino

Al Teatro San Genesio, nell’ambito di Libre, rassegna di teatro «civile e di narrazione», è tornato in scena Angelica, spettacolo del 2005 di Andrea Cosentino. Teatro di narrazione. Chi era seduto nella cripta circolare del Tempio del Cristo Re – dove ha sede il Teatro – di Prati ha effettivamente ascoltato raccontare delle storie. Cosentino, unico in scena, si siede e inizia: «…comunque». Ecco, si comincia dalla congiunzione testuale, dalla subordinata, come se fossimo già lì, come se le storie fossero già lì. Può essere un caso, un utile espediente formale, un trucco per agganciare il pubblico e rompere il ghiaccio. Ma, alla lunga, forse non lo è.

Foto di scena ©Gio Lagorio

Foto di scena ©Gio Lagorio

Angelica è un’attrice che deve morire in una fiction, un grande momento per lei. Ecco Angelica in tv, sognante eroina di storie melodrammatiche per nonne; ma ecco Angelica anche ri-morire nella stanza di una nonna, che ha affittato la casa come set e osserva il marasma della troupe. La ragazza non è, diciamolo, Meryl Streep, per cui la cosa va per le lunghe. Cosentino è un narratore e insieme un interprete, ha una capacità sottile ed empatica, spesso esilarante, di cambiare pelle, di entrare e uscire da maschere e personaggi. Usa tutto il corpo, pur con economia di gesti, pochi oggetti – un pupazzo a braccio di Giovanni Paolo II che apre e chiude lo spettacolo –; costruisce lo spettacolo per accumulo e per variazione con differenza.

Foto di scena ©Gio Lagorio

Foto di scena ©Gio Lagorio

Cosentino lavora sulla durata, sul tempo che si impiega per raccontare una storia, sul modo in cui la temporalità influenza le percezioni di chi le subisce, le storie. Le sue storie, pensano. Accosta la teoria e la pratica in maniera naturale, utilizza il referente e lo trasporta su piani simbolico-filosofici. Come il montaggio cinematografico taglia e cuce, dona una storia al presente eterno della ripresa (il riferimento esplicito è Pasolini), così Cosentino monta le sue narrazioni, parte dalla materia pura del racconto e la scompone, rimonta, differisce e sovrappone.

E alla fine ce ne accorgiamo, Angelica è alla fine, come avrebbe detto Cocteau, «la morte al lavoro».

Teatro San Genesio, Roma – febbraio 2015

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