Tomb Raider
Coraggio, dolore e bellezza per quella che è la versione migliore delle avventure di Lara Croft.
Tutti noi maschietti perversi e invasati di cinema, lottiamo da tempo per respingere nell’inconscio pensieri, immagini, ricordi e fantasie connesse a quei due stupidissimi film degli inizi di anni zero su Lara Croft, Lara Croft: Tomb Raider (2001) Lara Croft: Tomb Raider-La culla della vita (2003), ereditiera scaltra e benestante con l’hobby delle tombe inesplorate e delle armi da fuoco, come se fosse una pulsione pericolosa per il nostro equilibrio complessivo. Una grossolanità in stile 007, varie idiozie di sceneggiatura, le orribili chitarre distorte di “Elevation” degli U2 e il voluttuoso ed eccitante corpo di Angelina Jolie erano gli ingredienti che componevano dei film divertenti ma da prendere poco sul serio. Thomas Edison, anche pioniere delle tecnologie di ripresa cinematografica, aveva appeso nella sua fabbrica un quadro con la seguente scritta: “Non esiste espediente al quale l’uomo non ricorrerebbe per evitare la fatica di pensare”. E il non far pensare, l’intrattenimento banale, sembrava proprio essere l’unico intento delle produzioni cinematografiche d’azione di quegli anni.
Figlio dell’omonimo e celebre gioco, creato oltre 20 anni fa dalla Core Design e diventato una vera e propria pietra miliare nell’universo dei videogame, Tomb Raider del norvegese Roar Uthaug (The Wave, Dagmar) trae ispirazione dalla versione sviluppata da Crystal Dynamics nel 2013, reboot concepito per le console moderne. Chi è certo di trovare un pop corn movie adatto per attirare qualsiasi tipo di spettatore medio, noioso e idiota come molti prodotti di questo genere, cambierà la sua opinione perché l’ultima incarnazione di Lara Croft, interpretata dal premio Oscar Alicia Vikander, è un solido film d’avventura che funziona bene dall’inizio alla fine.
Lara si guadagna da vivere facendo consegne in bicicletta a Londra e nel tempo libero si allena per essere una kickboxer. Senza madre dalla nascita, tormentata della misteriosa scomparsa del amato padre, si ostina a vivere per conto proprio, rifiutandosi di accettare l’enorme eredità che le spetta di diritto perché questo sarebbe come riconoscere di essere sola al mondo. Tutto nella sua vita sembra cambiare quando viene a conoscenza che il padre era a capo di una spedizione archeologica in Giappone alla ricerca della tomba di Himiki, regina del regno di Yamatai. Lara inizierà un pericoloso viaggio per ritrovare suo padre e capire quello che davvero è.
Superate le necessarie presentazioni del primo atto, lo spettatore è letteralmente coinvolto nell’incalzante ritmo del racconto. Ma non è tutto oro quello che luccica nelle tombe e infatti il film ha la sensazione di essere un glorioso pilot di un futuro franchise e neglige in più aspetti narrativi (alcuni intrecci e personaggi, come la spalla interpretata da Daniel Wu, sono improvvisamente abbandonati). Inoltre il regista non riesce a imporre uno stile personale alle scene d’azione che sono troppo Jason Bournesche e confuse come un adolescente alla quarta birra che non saprebbe gestire neanche una pisciata.
Azione, il tuo nome è donna. La nuova lettura femminista e poco sessualizzata dell’iconico personaggio di Lara Croft, le conferisce quella tridimensionalità che è di solito assente in prodotti del genere. Alicia Vikander è un’eroina tenace e grintosa che cade per poi rimettersi in piedi, risolve impossibili rompicapo e con la sua sensualità, atletica e non costruita, fa sudare il pubblico sotto il colletto. Tom Raider è intrattenimento di buona qualità, un appassionante avventura che scorre via senza problemi.