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Registi che rifanno se stessi

Ripetizioni, ripartenze e revisioni. Per il sistema cinematografico il passato è presente; infatti la tendenza attuale è quella di credere in Ieri, come in quel testo di Paul McCartney, se questo può essere sfruttato per produrre minimizzando gli sforzi, film capaci di esaltare e gratificare chi li vede e arricchire chi li fa. Per un regista invece riprendere un racconto, ritornare sulla stessa storia ancora una volta, non è come infornare una torta che è stata già servita ma è come vivere amore e odio nello stesso tempo; è desiderare di avere più tempo con chi si è sceso un milione di scale, come in quella poesia di Montale, è rispondere a domande lunghe una vita, è dare una seconda opportunità a quei mondi creati da loro stessi con le amate immagini in movimento. E questo ciò che ha fatto George Miller che a settant'anni ritorna per l'appunto nelle terre post apocalittiche a raccontare la storia di Mad Max nel potentissimo Fury Road. Lynch che chiede ad un anziano Meliès chi ha ucciso il mondo. Diamo uno sguardo ad alcuni registi che, con motivazioni diverse, hanno provato a competere con loro stessi. Ripetizioni, ripartenze e revisioni.

Raoul Walsh – Una pallottola per Roy (1941) / Gli amanti della città sepolta (1949)

Raoul Walsh (La Furia Umana, Gli Implacabili), dirige due volte un'amara storia sull'impossibilità della redenzione applicando i filtro di due dei più gloriosi generi cinematografici americani: il Noir e il Western. In Una pallottola per Roy (High Sierra in originale, scritto da John Huston), un Humphrey Bogart con la cravatta eternamente slegata è Mad Dog Roy, criminale appena uscito di prigione assoldato per un ultimo lavoro. Tra le numerose figure, in bilico tra il bene e il male, che l’ex gangster incontrerà c’è Marie (un indimenticabile Ida Lupino), giovane autolesionista in cerca di un posto dove appartenere, di cui irrimediabilmente s’innamorerà. Meno di un decennio dopo, Il cambio di genere ha dato la possibilità di raffinare alcuni aspetti salienti dell’originale. Tuttavia la lezione di Raoul Walsh sembra essere la stessa: i tempi sono cambiati e i migliori se ne sono andati. Gli amanti della città sepolta (Colorado Territory) è ancora più romantico e crepuscolare dell'originale: tra deserti e desolate rovine spagnole, qui sono i paesaggi a guidare lo spirito del film. La storia d'amore è ancora più torbida con il fatalismo costantemente inciso sul viso dei due nuovi protagonisti: Joel McCrea e Virginia Mayo che con le sue gambe potrebbe far scoppiare una rissa. Nel duro mondo del western e del noir, vivere ciò che ci sembra di essere, vuol dire sconfitta, rassegnazione.

Raoul Walsh Bogat una pallottola per roy

Alfred Hitchcock – L'uomo che sapeva troppo (1934) / L'uomo che sapeva troppo (1956)

Una coppia sposata, durante un viaggio di piacere, assiste all'omicidio di un turista il quale, prima di morire, svelerà un complotto finalizzato all'omicidio di un ambasciatore straniero. Per essere sicuri del silenzio della coppia il loro bambino viene rapito da alcune spie. L’attentato si svolgerà durante un concerto alla Royal Albert Hall di Londra. Sono solo questi pochi elementi di trama ad accomunare i due film. Con un avvincente idea di fondo ma frettoloso nella realizzazione, Hitchcock ha sempre considerato l'originale come “il lavoro di un amatore talentuoso” . Tuttavia la pellicola si fa ricordare per la presenza di Peter Lorre (M – Il mostro di Dusseldorf) e della sua faccia avvelenata, al debutto in un film in lingua inglese, e per la colonna sonora d Bernard Hermann che verrà ripresa nel remake americano. Girato tra Marocco e Londra, in VistaVision, con la presenza del “volto dell'uomo comune”, James Stewart e del sorriso di Doris Day, la versione americana invece è un meccanismo di suspense assolutamente perfetto. La sequenza alla Royal Albert Hall del 1956 è uno dei climax più intensi ed emozionanti di sempre, superiore all’originale proprio grazie alla maestria di Hitchcock al montaggio. L'assassino dovrà sparare durante l'esecuzione della cantata, nel momento in cui sarà dato l'unico colpo di piatti previsto nella partitura. Il primo lavoro del regista consiste nel creare l'emozione, il secondo nel prolungarla e questo Hitchcock lo ha sempre saputo.

Hitchcock l'uomo che sapeva troppo James Stewart

Antonio Margheriti: Danza Macabra (1964) / Nella stretta morsa del ragno (1971)

Il Cinema Gotico italiano è il cinema della suggestione e dell'atemporalità, dove le atmosfere sopravanzano il racconto: Antonio Margheriti, uno dei migliori artigiani del cinema di genere, con una messa in scena sontuosa e con una sensibilità visiva tendente al barocchismo dirige (due volte) una sceneggiatura scritta da Giovanni Grimaldi e Bruno Corbucci che vede come protagonista il giornalista Allan Porter (Georges Roviere) che in una nebbiosa notte Londinese incontra il maestro della paura per eccellenza: Edgar Allan Poe (Silvano Tranquilli). Lo scrittore confessa al giornalista che i suoi racconti non sono altro che cronache di fatti realmente accaduti, sfidandolo a trascorrere la notte dei morti nel castello abbandonato di Lord Blackwood. Al Castello Allan incontrerà Elizabeth Blackwood con il viso splendidamente diseguale di Barbara Steele. In realtà la donna è un fantasma che in quella notte rivivrà le vicende che la portarono alla morte, appunto la Danza Macabra che dà il titolo del film. Il remake Nella stretta morsa del ragno nel rispetto all'originale abbonda di sequenze efferrate e grand-guignol ma perdendo di fascino. Siamo negli anni Settanta e non è più tempo di passeggiate notturne nelle ali deserte di un castello. L'unica novità sembra essere il satanico Klaus Kinski nei panni di Poe. Due film, l'inizio e la morte del genere, in cui dopotutto i protagonisti sono i 7 peccati capitali e le loro numerose combinazioni.

Antonio Margheriti Danza Macabra

Paul Thomas Anderson – The Dirk Diggler Story (1988) / Boogie Nights (1997)

Questo è il primo lavoro di uno dei più importanti registi del cinema americano contemporaneo, Paul Thomas Anderson, che a quanto pare a diciassette anni, come tutti i suoi coetanei era realmente ossessionato dal mondo del porno. Privo delle sontuose sequenze girate con la SteadyCam e di veri attori The Dirk Diggler Story è un mockumentary sulla falsa riga di This is Spinal Tap che caricatura la tragica vita di John Holmes, il più famoso porno attore dei Settanta. Acerbo e pieno di umorismo involontario, montato in modo decisamente mediocre, il mediometraggio è la versione beta di Boogie Nights il quale praticamente racconta la stessa storia e si ciba dello stesso immaginario. La seconda avventura nel mondo del porno finisce per trasformarsi in un affresco sociale che strizzando l'occhio al cinema di Altman (come spesso accade in Anderson) e Scorsese con i suoi continui eccessi e amplessi, commuove e affascina.

Boogie Nights Paul Thomas Anderson

Michael Haneke: Funny Games (1997) / Funny Games (2007)

Ogni film di Michael Haneke (Amour, La Pianista) è un rito crudele e insostenibile che sembra voler riassumere tutta l'atrocità del mondo. La storia di Funny Games non poteva essere più semplice: una serena famiglia è presa in ostaggio, nella sua stessa casa, da due giovani di bell'aspetto pronti a sperimentare su di loro ogni sorta di sadico gioco psicologico e torture fisiche. Senza speranza e senza eroi, Funny Games mette in evidenza la debolezza della borghesia impreparata alla violenza, immobilizzata nel perenne ruolo di spettatore. Nel 2007 l'austriaco ne gira un remake “shot-for-shot”, ambientando la storia a Long Island con un cast di star (Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt) praticamente identico negli intenti. Haneke desiderava che il suo “teorema sulla violenza” fosse accessibile a tutti e rigirare la storia con un cast americano ha permesso la distribuzione del film in tutto il mondo. In definitiva, Funny Games è un teatrino grottesco, fuori dagli schemi e da ogni forma di perbenismo dove basta un telecomando per ripristinare lo stato delle cose.

Michael Pitt funny games haneke

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