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Questo pop (non) s’ha da fare

I Promessi Sposi di Sinisi debutta al Sala Fontana di Milano

Pop. Si potrebbe dire che il Pop è ciò che appartiene a tutti senza che nessuno ci faccia caso. Anche se non ti piace, anche se non lo approvi, anche se vorresti condannarlo—comunque lo conosci e se lo conosci vuol dire che ha già vinto. Insomma, il pop è corrispettivo del «si sa», del «si dice che…». Vox populi. E popolo lo siamo tutti, senza distinguo.

La domanda piuttosto è: come si fa «pop»?

Se l’essere pop dipende dal riscontro che si avrà, come si fa a dire che qualcosa sia pop prima di averlo verificato? O per dirla meglio, come fa un parametro di diffusione a diventare categoria di genere? Dipende tutto dalle premesse.

Robert Rauschenberg Retroactive I (1963), Wadsworth Atheneum, Hartford Connecticut ©Rauschenberg Foundation

Robert Rauschenberg Retroactive I (1963), Wadsworth Atheneum, Hartford Connecticut ©Rauschenberg Foundation

Quanto si prevede la reazione degli altri? Quanto si cerca il consenso? Quanto lo si pianifica? Date al popolo ciò che il popolo sente già, pensa già, conosce già, adora già, spruzzandolo di brillantezza qua e là e il popolo vi seguirà. Il pop, d’altronde, è piacione per sua natura.

Michele Sinisi tutto questo lo sa. E ci gioca. Gioca con l’immaginario collettivo. Un po’ lo stravolge, un po’ ci marcia, un po’ lo contesta, un po’ gli garba. Insomma, non si rifugia in alcuna torre d’avorio: si immerge nel sentire popolare e lo fa in maniera anfibia, senza, però, perdere mai le proprie tensioni artistiche, soprattutto quelle più violente (le cosiddette «urgenze»).

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Così accade nei Promessi Sposi (nuova produzione Elsinor). Eh già, proprio loro, la coppia più odiata-amata da generazioni di liceali: umili amanti vessati dalle angherie del signorotto spagnolo, che attraversano la reclusione, le rivolte, la peste per poi riuscire finalmente a diventarlo—sposi.

Ma come portare in scena il romanzo? Puntare alla rappresentazione da prosa che piace tanto agli abbonati o proiettare la materia manzoniana nella centrifuga del post-drammatico? Per cominciare niente «ramo del lago di Como», quello finisce ironicamente in cartolina, consegnate rigorosamente all’entrata. E già è un primo segnale. Come a dire: se volete la storiella confezionata, eccola qui. Vi basti.

Promessi Sposi – Sinisi

Difatti lo spettacolo principia con un dubbio. Stefano Braschi entra dal fondo della sala nelle vesti di don Abbondio e pian pianino, pavido e esitante, si fa innanzi al celebre bivio dove attenderanno i «Bravi» di Don Rodrigo a dissuaderlo dallo sposare Lucia e Renzo. La metafora latente è notevole: che strada prendere per andare in scena? quella facile o quella perigliosa?

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Ma Sinisi, appunto, gioca anche col pop più basso: i bravi sono sgherri smargiassi, scemotti, acchittati cafonamente, proprio come i capetti della malavita organizzata (D’Addario e Masella, “caratteristi” sempre più affilati, esilaranti e generosi). Siedono stravaccati su uno scheletro di tondini d’acciaio che occupa quasi tutta la larghezza del palco: un muro che c’è ma è senza sostanza, sul quale campeggia la fatidica frase «Non s’ha da fare» (scene Federico Biancalani). Anche in questo caso gli echi sono innumerevoli: non s’ha da fare il matrimonio, certo, ma anche la ricerca, l’onestà, lo spettacolo, ecc. La mafia è un Bartleby dispotico che sa dire solo di no a chi non ne riconosca il potere.

Dappoi la scritta sarà grattata via e ne rimarrà appena un’ombra dove il «non» è scomparso: si farà, insomma, s’avrà da fare, ma non ancora.

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Di tanto in tanto, nel frattempo, una voce fuori campo spinge l’azione oltre l’esuberanza di queste creature meschinelle. Seduta a lato, oltre il sipario, a un tavolino, Francesca Gabucci si ritaglia il ruolo di “provvidenza ex machina”: un po’ narratore, un po’ correttore, un po’ suggeritore, attinge al libro e sbroglia, alla maniera di Sinisi in Miseria e Nobiltà (un ruolo che purtroppo rimarrà marginale e che meriterebbe, invece, di essere meglio assestato e sviluppato ulteriormente).

Tra batti e ribatti con Don Rodrigo, Azzeccagarbugli, Fra’ Cristoforo, Agnese, la Monaca di Monza, la prima metà si chiude come una grande sceneggiata, in cui si gioca a fare il varietà; tanto che a volte si ha la sensazione che lo spettacolo vi indugi un po’ troppo, nel pop, sollevando un dubbio impietoso: se lo stesso fosse firmato, mettiamo, da De Fusco o Barbareschi, gli tributeremmo la stessa fiducia?

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Sennonché, passato l’intervallo, il sipario si riapre e ogni timore di facile gigioneria crolla.

La seconda metà, infatti, sarà constantemente puntellata da interventi esterni, tradimenti, contaminazioni, richiami, allusioni, personaggi che dissertano del romanzo, interrogazioni scolastiche sulla peste, i monatti, i lanzichenecchi. «Mentre studiavamo I Promessi Sposi» ci racconta Sinisi, «ci siamo resi conto che c’è proprio una cesura netta: nella seconda metà circa i personaggi dialogano sempre meno e la narrazione diventa preponderante».

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Così, la riscrittura drammaturgica di Francesco M. Asselta e Sinisi rilancerà brillantemente i grandi temi storici, sociali, filosofico-teologici dei Promessi Sposi riecheggiandoli con quelli del nostro presente; di qui, parallelamente, l’ingresso in scena di Sinisi stesso, prima come “disturbatore-rumorista” nell’apertura con i moti popolari, poi come furente Innominato che urla contro Lucia il proprio ateismo. Una scena, quest’ultima, di rara potenza drammatica:

Ma la volete finire a parlare di Dio? Cos’è Dio? Finitela! Cos’è Dio? La finite o no?  Siete insopportabili. Cos’è Dio! Argomentate! […] Non viene. Come pensi che possa venire? Non viene. Lo capisci o no? È inutile aspettare.  Sono cavolate!

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Ritorna qui tutta la violenza del suo Riccardo III. Un dolore cavo, rabbioso, urticante, ma inestimabilmente vero: finalmente un po’ di genuina crudeltà a teatro. E certo in questo tassativo «Non viene» palpita una sana concretezza per cui il «Dio» invocato e assente possiamo intenderlo come le tante vane speranze moderne (politici illuminati, intellettuali di valore, direttori artistici coraggiosi, ecc.). A dirci: e se non viene che fai? Sai solo lamentarti?

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Foto di scena ©Sonia Santagostino

Sarebbe lungo e pretestuoso restituire uno sguardo extrateatrale di tutti i segni messi in campo in questi Promessi sposi: il segno dopotutto non è simbolo, e l’artista tracciandolo ne affida l’interpretazione allo spettatore. Tuttavia è innegabile che l’intera operazione messa in campo da Sinisi, Asselta e l’intero nutrito cast del già fu Miseria e Nobiltà dispiega una visione artistica ricca, vibrante, in cui tradizione e ricerca si intrecciano tra velleità e raffinatezze andando a comporre uno spettacolo universale che non pone discriminazioni di sorta.

Ancora una volta, dunque, Elsinor investe in un teatro felicemente pop e non per questo banale (ne scrivevamo l’anno scorso a proposito del Richard III di Ostermeier). Una buona pratica dagli alti risultati che c’è da augurarsi trovi presto nuovi esempi sul resto del territorio nazionale.

Ascolto consigliato

Confronti critici:
S’ha da vedere: la rivisitazione del classico manzoniano di Michele Sinisi,
di Renzo Francabandera (PAC)

Teatro Sala Fontana, Milano – 13 giugno 2016

I PROMESSI SPOSI

di Alessandro Manzoni
adattamento e regia Michele Sinisi
scrittura scenica
Francesco M. Asselta e Michele Sinisi
con Diletta Acquaviva, Stefano Braschi, Gianni D’addario, Gianluca delle Fontane, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster, Michele Sinisi
Scene Federico Biancalani
Costumi GdF Studio
Assistenti alla regia Roberta Rosignoli e Nicolò Valandro
Aiuto costumista Elisa Zammarchi
Assistente alle scene Annalisa Burcheri
Assistente al trucco Annalisa Cornaggia
Direzione Tecnica Rossano Siragusano
Si ringraziano gli studenti di Scenografia dell’Accademia di belle arti di Brera
Produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale

Grazie


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