Ciampi11

Piero Ciampi – Piero Ciampi

“La tua assenza è un assedio
ma ti chiedo una tregua
prima dell’attacco finale
perché un cuore giace inerte
rossastro sulla strada
e un gatto se lo mangia
tra gente indifferente
ma non sono io,
sono gli altri.

La prima volta che ho incontrato Piero Ciampi ho sentito queste parole attraverso la voce di Vinicio Capossela e non ne sono rimasto colpito, ne son stato proprio travolto. Come uno tsunami che spazza interi paesaggi. Il mare c’è sempre stato ma semplicemente non conoscevi la sua forza. E mi son chiesto chi è Piero Ciampi e perché non ne ho mai sentito parlare?

Alla prima domanda si potrebbe dare una risposta accademica, piena di riferimenti biografici; ma l’unica cosa che si può dire di lui è che era un Poeta e per capire chi fosse bisogna ascoltare la sua discografia, sorta di romanzo musicato della sua continua salita e immersione in una vita tutt’altro che facile. Alla seconda domanda è semplice rispondere: Ciampi non è per la massa e non lo sarà mai. E con questo non voglio dire che sia roba per intellettualoidi, tutt’altro. Dico che semplicemente Piero Ciampi aveva tutte le carte in regola per essere un artista (un grande artista), ma la sua figura e la sua visione della vita era così lontana da ciò che la gente si aspetta da un artista. Sin da giovane avvertiva un senso di disadattamento nei confronti della vita, come traspariva in modo esplicito in questa sua poesia: “Io Sottoscritto, Nato il 28 di Settembre, morto circa una settimana prima o dopo. Non ricordo”.

«Volevo il movimento, non un’esistenza quieta. Volevo l’emozione, il pericolo, la possibilità di sacrificare qualcosa al mio amore. Avvertivo dentro di me una sovrabbondanza di energia che non trovava sfogo in una vita tranquilla» (Lev Tolstoj, La Felicità Familiare).

Piero Ciampi era un animo inquieto e questo lo portava a viaggiare, si allontanava spesso dalla sua Livorno, quella città sul mare che insieme alla scrittura e alla composizione rappresentava l’unica certezza e l’unica forma di evasione (insieme alla bottiglia) da una realtà che ha sempre rappresentato una sorta di prigione dalla quale fuggire. E così sul finire degli anni ’50, dopo Pesaro e Genova arrivò a Parigi dove ebbe l’opportunità di conoscere Louis-Ferdinand Céline e Georges Brassens, dal quale verrà molto ispirato, portando avanti l’intreccio fra musica e poesia.

Nel 1959 torna a Livorno, per trasferirsi poco dopo a Milano dove nel 1963 incide il suo primo album Piero Litaliano per la Cds. L’album non fu accolto con entusiasmo e questo contribuì allo stato d’angoscia del cantautore. Negli anni successivi si dedica alla composizioni di brani per altri autori continuando a viaggiare e tra donne, figli, soldi sperperati in alcool e concerti con conclusioni sempre disastrose, nel 1971 incide Piero Ciampi, nel 1973 Io e Te Abbiamo Perso la Bussola. Nel 1975 esce Andare, Camminare Lavorare e altri discorsi (che contiene pezzi dei precedenti l’album) e poi nel 1976 Dentro e Fuori. Il 19 Gennaio del 1980, la morte. Tutto questo, come già detto prima, lo si ritrova nei testi spesso caratterizzati da un’ironia arguta, quasi cabarettistica, che fanno trasparire una rassegnazione e un’accettazione della sua condizione rispetto alla vita.

Nel 1971, tramite la casa discografia Amico (fondata da Don Backy, Detto Mariano e Mario Moletti) esce Piero Ciampi, il suo secondo album (scritto in parte con Pino Pavone) che contiene alcune delle sue canzoni più ispirate e rappresentative della sua poetica. E questo fu anche grazie alle composizioni di Gianni Marchetti che valorizzò le liriche di Ciampi con musiche dall’attitudine talvolta orchestrale, talvolta jazzistiche e magistralmente arrangiate. Ma non mancano anche composizioni più semplici, minimali ed eleganti, costituite da note di pianoforte o chitarra.

Ed è appunto uno struggente pianoforte il protagonista del pezzo d’apertura Sporca Estate con la quale Piero fa una riflessione sui “prodotti” dei suoi amori frivoli e che hanno portato più dolore di quanto potesse immaginare (“Figli, vi porterei a cena sulle stelle, ma non ci siete, ma non ci siete, ma non ci siete”). Un clavincembalo introduce L’Amore è tutto qui, una canzone che si rifà quasi alla tradizione italiana degli anni ’60, ma che l’interpretazione di Ciampi rende unica. Mette così in evidenza la sua condizione di solitudine e di estraniazione dal resto del mondo e in un certo senso anche una sorta di egocentrismo (“Se sono solo come mai, / non ho una lira e tu lo sai, perdonami; / sono uno strano uomo che può frequentare solo te, abbracciami”). Ho sempre pensato fosse proprio una sorta di dialogo con la sua vita (“tutte le cose che non hai accanto a me / le troverai nel mondo dell’illusione. / Tu vai sicura, vai così, perché io sono sempre qui qui!”).

Quell’ironia che si citava prima la si ritrova in uno dei suoi titoli più riusciti: Il Merlo, pezzo visionario con il quale racconta il suo senso di smarrimento e la perdita dell’ispirazione per “portare una canzone all’editore perché sono senza una lira”. Arpeggi di chitarra, un elegante pianoforte, archi fanno da contorno alle parole di Ma Che Buffa che sei, brano che celebra la donna ma soprattutto l’amore. Stesso argomento viene riproposto in Barbara non c’è, ma vengono a mancare la dolcezza e la tenerezza che tinteggiavano il pezzo precedente, a favore di un mood più ombroso.

Sobborghi (che verrà poi ripreso dai Perturbazione con Bianconi alla voce), si sofferma sulla vacuità di un amore (“La luce delle stelle spenta su due corpi comuni che si muovono distanti senza amore, sono avidi di sesso”) vissuto nei sobborghi milanesi, ha uno degli arrangiamenti più intriganti dell’album: suoni gitani di una chitarra sovrapposti al loop quasi ossessivo delle percussioni che sul finale accelerano quando Ciampi passa dal cantato ad un raggelante Spoken Word sulle parole “E poi, perché dici di amarmi? Per andare avanti? Dove? Là. No”.

Cosa Resta è più minimale e acustica nella prima parte e più fastosa (riprendendo in maniera più contenuta le sonorità di Sobborghi) nella seconda, con un’accennata presenza di progressive nel finale. Dopo la simpatica irrisione de Il Giocatore (pathos iniziale e il motivo da sfida “epica” a fare da contrasto col recitato di Ciampi), segue la commovente ed emozionante Livorno (tutta eseguita col pianoforte, con la presenza degli archi solo nel finale), il “suo porto delle illusioni”.

E non è da meno la più famosa Il Natale è il 24 (in questo caso la chitarra è protagonista di tutto il brano), un contenitore di piccoli ritratti della solitudine. La guerra e la pace in 40 Soldati, 40 Sorelle vengono raccontate in modo romanzesco, con un arrangiamento che riprende quello di Sobborghi, ma il risultato è più misurato, raffinato e trasognante.

Piomba il jazz nella romantica Quando ti ho vista; e poi c’è Il Vino, pezzo di una bellezza disarmente (“Ma com’è bello il vino / bianco bianco bianco, / rosso è il mattino, / sento male a un fianco. / Vita vita vita, sera dopo sera, / fuggi tra le dita, / spera, Mira, spera”) e la cui musica sembra proprio seguire l’andamento barcollante dell’ubriacone. La fine di un amore e la sofferenza vengono poi raccontati nella straziante Tu No, l’interpretazione più drammatica di Ciampi.

Così si conclude un disco che ha fatto la storia della musica italiana, in quanto successivamente moltissimi sono stati gli omaggi al cantautore livornese, grazie ai quali è aumentato il livello di conoscenza della sua poetica tanto realista quanto visionaria, capace di materializzare le emozioni, i sentimenti e gli stati d’animo. Potrei continuare ad elogiarlo all’infinito, ma vorrei chiudere così come ho aperto, ovvero con sue parole che hanno rappresentato per me un forte insegnamento di vita e di ispirazione:

“Il coraggio
dopo lunga attesa
entrò in chiesa
e sposò la paura.
Fu un matrimonio
di interesse.
Moltissimi figli
nacquero
e da allora
non si contano
le stragi.
”

La diffusione di un artista come Ciampi non è mai abbastanza: fatelo conoscere, condividete i suoi video e parlate di lui anche quando vi soffermerete a vedere il mare: “il mare impetuoso al tramonto, salì sulla luna e dietro una tendina di stelle… se la chiavò”.

Grazie


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