Juliette Binoche. "The Wait" ("L'Attesa"). Director Piero Messina.Indigo Film

L’attesa – Piero Messina

Vedere i film italiani ai festival mette pressione. Si è costretti a prendere una posizione netta: favorevole o contrario, un po’ come succede per gli ultimi film di Paolo Sorrentino: c'è chi ne loda lo stile, chi lo considera fine a se stesso.

E il caso vuole che Piero Messina sia stato l’assistente regista per This Must Be the Place e La grande bellezza. Il suo primo lungometraggio, in concorso a Venezia, s’intitola L’attesa e più che di un lutto parla della mancanza, del rifiuto di una perdita. Nella sequenza dei titoli di testa delle sagome avanzano sul tappeto scorrevole di un aeroporto, in sottofondo Missing degli XX; sembra quasi di aspettare Cheyenne con il suo trolley o Titta Di Girolamo.

E invece arriva Jeanne (Lou de Laâge), una ragazza con gli occhi chiari in cui tiene una colpa per cui vuole essere perdona e le labbra carnose. E’ pronta a riconciliarsi con il fidanzato, ma ad accoglierla ci sono solo un custode introverso e protettivo, Pietro (Giorgio Colangeli), e la madre del ragazzo (Juliette Binoche) la quale non ha il coraggio di dirle che Giuseppe – il figlio – è morto improvvisamente. Il tempo, le parole, le azioni, tutto resta sospeso, tutto è in attesa di quel momento, di quell'ennesima ammissione.

Le sequenze di Messina si dilatano, le immagini si popolano di simboli che richiamano quell’estetica rarefatta che apre il dibattito sul film. Ed è qui che scatta l’ora di schierarsi. L’attesa regala momenti ricercati, luci calde che illuminano volti pieni di fantasmi, silenzi assordanti e il limite che si incontra potrebbe essere proprio in questo punto. Più che nei passaggi poco verosimili di una trama volutamente esile, è lo stile che può dividere, perché quest'ultimo insegue un ideale di bellezza intimo, che non sempre viene condiviso.

Jeanne e Anna – francesi entrambe – si studiano, sono intrise di fascino e la tensione che le anima, che le fa essere tacite nemiche ed alleate, viene trasmessa dagli sguardi. Come durante la cena, quando la donna si ferma a guardare la ragazza ballare sull’orlo dell’equivoco Waiting for the Miracle di Leonard Cohen con uno sconosciuto.

L’attesa è immersa nella sacralità della settimana santa, in una Sicilia diversa, scura, interna e a tratti anche nebbiosa, con una lago in cui Jeanne si tuffa come per cercare respiro, per dimenticarsi per un momento dell’ambiguità e della menzogna con cui è stata accolta.

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