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Il catino di zinco – Margaret Mazzantini

La vecchiaia è una brutta bestia: sì, perché la vecchiaia è fatta di carne, sangue, umori (e malumori), debolezza, rabbia, frustrazione, sensazioni discordanti fra loro e limiti invalicabili che, giorno dopo giorno, aumentano esponenzialmente.

Ed è ciò che accade anche alla protagonista de Il catino di Zinco (Mondadori, 1994), Antenora, donna d’altri tempi, matriarca che si impone, senza mezzi termini, nella vita della sua progenie rifiutandosi di subire passivamente il decorso della sua lunga vita.

Una piccola eroina in un piccolo mondo arcaico, ancestrale, confinata tra le pareti domestiche, ma non per questo meno attenta a tutto quel che le accade intorno, energica e impassibile nel dispensare valori netti, talvolta semplicistici, sentimenti forti e, a tratti, ossessivi, elementi che le permettono di affrontare, quasi incolume, esperienze traumatiche come la guerra, il fascismo, il dopoguerra e tutti i suoi strascichi, senza mai perdersi d’animo.

Il pretesto per raccontare la sua storia sarà proprio la sua morte, avvenuta in un gelido mattino d’inverno, brusco come Antenora, e narratrice d’eccezione diventerà l’amata/odiata nipote, più simile alla nonna di quanto voglia ammettere.

Si tratta del romanzo d’esordio di Margaret Mazzantini, un’opera che si distacca in maniera abbastanza evidente da quella che sarà la sua produzione successiva, specialmente per quanto riguarda lo stile: i preziosismi linguistici e le ricercatezze lessicali la fanno da padrone all’interno di una narrazione ricca ma comunque fluida, affascinante, che eleva una storia quotidiana a letteratura a tutti gli effetti.

Superbo, all’interno del settimo capitolo, il flusso di coscienza, lo “stream of consciousness” di sapore joyciano che nonna Antenora, con humour, sarcasmo e un pizzico di acidità q.b., regala al suo lettore riflettendo su come vanno “le cose della vita”.

Nel complesso, si tratta certamente di un romanzo di non facile lettura, ma nell’accezione più positiva del termine: Mazzantini è cruda, dura, non lascia nulla all’immaginazione, ci mostra vette liriche altissime ma anche il rovescio della medaglia, le piccole miserie umane che accomunano la nostra specie, senza mezzi termini.

E Mazzantini, oltre a essere un astro fulgido della letteratura nostrana (e non solo), conserva anche una buona dose di ironia: la scelta millimetricamente curata di termini all’apparenza astrusi avrà costretto molti lettori, anche senza un’ammissione formale, a riprendere in mano un bel vocabolario della lingua italiana…

Grazie


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