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I demoni di Prada e la letteratura

Tutto quello che è scritto bene finisce prima o poi su The Art of Hunger, perché non dovrebbe esserci anche un film dall’apparenza patinata e frivola come Il diavolo veste Prada, dai buoni dialoghi e con il ritmo di un piccolo sisma? Tanto più che di questo film non m’interessa né la regia né altri aspetti formali quanto il fatto (sociologico) che attesta un’appartenenza reciproca della moda e della letteratura di cui la cultura nostrana non è mai stata molto consapevole. Anzi, il classicismo testamentario dei nostri umanisti l’ha sempre snobbata – con le debite eccezioni, s’intende.

Gli anni Cinquanta in America sono stati importanti per tante ragioni. Una di queste è la crescita esponenziale dell’arte fotografica, da semplice documento etnografico a mezzo espressivo che non conosce confini. In modo analogo, la narrativa del dopoguerra comincia a lasciarsi dietro il “mito vivente” Hemingway per liberare strani demoni (Capote, Salinger, Vidabb3


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