18-specchio

Frammenti di specchio sul pavimento del bagno

Per la prima volta siamo noi stessi, quando ci specchiamo intendo, siamo primordialmente veri, sinceri; dopo una vita sociale passata a relazionarci, ad ostentare antipatie, simpatie, preferenze, idiosincrasie, kalokagathìe e occhiali nuovi, troviamo la nostra catarsi quotidiana davanti allo specchio, algido confessore, che, senza bisogno di esplicitare nulla, legge, in ogni nostro lineamento, piega della pelle, nel caleidoscopio dell’iride, sul contorno delle labbra, quelli che siamo stati, quelli che siamo e intuisce ciò che saremo.
“Sei felice? Hai gli occhi luminosi e gli angoli della bocca si increspano in una smorfia allegra. O hai avuto un ictus o sei felice.” “Si sono felice, mi rende felice, dovresti vederla, è così bella”.
“Che schifo di faccia che hai! Smetti di bere così quando esci, non è più il caso, ormai sei adulto, hai delle responsabilità, una vita da gestire!” “Non ho bevuto tanto, c’era un sacco di gente, ho riso scherzato ho fatto innamorare un mucchio di ragazze, credo, e poi il fiume è così bello di notte, scorrendo ci diceva che la vita non è giusta o – oddio mi gira la testa – sbagliata è così e punto, le persone le perdi ma le ritrovi e i tronchi incagliati sui piloni del ponte hanno perso perché ormai sono marci – cazzo devo dormire – e resistono inutilmente alla corrente tanto ormai sei un tronco marcio cosa ti interessa, hai mai visto il fiume di notte? No che non l’hai mai visto stai tutto il giorno inchiodato al muro sopra al lavandino, vista cesso e bidè” “Lavati la faccia e vai a letto” “Si forse è meglio”.
“Sei triste?” “No” “Si” “Sai quando da piccolo ti chiedono cosa vuoi fare da grande? Rispondevi subito, senza esitazioni, magari con un mestiere bislacco, magari un lavoro che non esisteva, ma ci credevi in quel mestiere inventato o meno. Adesso sono grande, e nessuno ti fa credere in niente” “Che discorsi patetici e inutilmente idealistici, lo sapevi fin dall’inizio e avresti dovuto adeguarti.” “Ma è ingiusto! Io non devo adeguarmi a nulla, non sono un aeroplanino di carta le cui pieghe non sono state fatte secondo il libretto di istruzioni di una qualche Ragione Comune e per questo non ha diritto a planare!” “E’ così, punto. Forse puoi ancora rimediare”

“Stai zitto cazzo!”

Quando uno specchio si rompe, secondo la tradizione popolare, porta sette anni di sventura, probabilmente perché tutti, fin dall’inizio, hanno sempre avuto paura di avere a che fare con se stessi. Forse, però, il concetto da cui siamo partiti, ovvero che lo specchio nella sua interezza è il nostro più veritiero confronto con la realtà, è sbagliato. Quei cocci sono il vero specchio, centinaia, migliaia di sezioni di noi stessi, divisibili in altre centinaia di migliaia fino all’infinito: lì sono io da piccolo con il grembiule, lì sono io ieri quando camminavo per strada, lì sarò io quando smetterò di fumare, lì non sono sicuro di essere io. Piccole, cristalline, infinitesimali e perfette pozze d’acqua dalle quali attingere l’essenza, la coscienza, la meravigliosa caducità di una, di cento, di sei miliardi di persone scorrazzanti in un mondo che a sua volta si specchia in cocci rotti. Siamo noi, quei frammenti di specchio sul pavimento del bagno.


Grazie


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