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Elisabeth Strigini – Contemporary Tales

Se vogliamo parlare di Elisabeth Strigini dobbiamo partire dal concetto di immaginazione inteso come un contenitore di terreno fertile pronto ad essere fecondato dall’alto, da una sorta di dio creatore, capace di stillare gocce d’estro come pioggia d’estate. Perché i lavori della pittrice francese sono bagnati da questa pioggia ed è brava Elisabeth a trascinare il pubblico nelle sue fantasie. Fantasie contaminate dai maestri del passato, scoperti nel corso della sua formazione, tra i quali in particolare spiccano per emulazione Goya, con i suoi mostri intrappolati nella testa e nel cuore come incubi quotidiani da esorcizzare nel sogno; ed i fiamminghi (da Bosch a Brueghel, costruttori di fantasmagorie, saghe popolari immerse nelle brume del Nord).

Così le tele di Elisabeth Strigini stazionano in un’unica stagione, l’inverno. L’elemento naturale di un bosco o di una foresta è reso immobile dall’aria sempre tersa, gelida. I colori declinano dalle cascate dei grigi perlati ai verdi lividi scagliati contro cieli d’asfalto, i viola uggiosi virano al nero, gli azzurri sono pesti. Una tempesta sempre imminente eppure perennemente rimandata nel suo punto di divenire, come un filo che tende verso il bilico la coscienza dello spettatore. Altro elemento indiscutibile delle sue opere è il silenzio. “Un silenzio tale da spaventarsi sentendo bussare la porta” come diceva Arnold Bokin a proposito della sua Isola dei morti, il quadro culto del simbolismo europeo. Allo stesso modo nei lavori di Elisabeth Strigini ritroviamo un bambino che si è smarrito nel bianco soffice della neve, un cervo dal volto umanizzato nel mirino del cacciatore, un corpo inanime che affiora nella distesa immacolata. Ed il sangue di chi è dinanzi alla tela non può far altro che gelare nelle vene, tanto che basterebbe un ramo spezzato per farlo trasalire.

Lisa dimostra di essere autrice colta: attinge dal mondo dell’infanzia e ripropone quelle stesse immagini all’emisfero adulto, presentandole sotto forma di sogno dark. Rievoca le paure bambine disegnando con il pennello un’aria sinistra, un senso d’attesa thrilleriano ma allo stesso tempo smorza lo spavento con le note incantevoli di un carillon. La forza del suo lavoro risiede nell’aver popolato i paesaggi antichi di mostri moderni quali figure da rotocalco tutte ugualmente patinate e facilmente sostituibili, piccole icone pescate nella sfera attuale ma poste fuori contesto. E’ come se Elisabeth ci volesse avvertire che tutto ciò che ci riguarda ha un lato oscuro.

E’ curioso a questo proposito notare come, nella fantasia di Elisabeth Stragini, Biancaneve, una figura classica di Monet o le Spice Girls abbiano la stessa dignità. Tutto è visione. Il melting pot è inconscio. Come lei stessa ha dichiarato, la sua prima esperienza diretta e significativa con l’arte fu grazie a Walt Disney: tra i suoi giochi preferiti riferisce esserci stato un proiettore in plastica blu con una sequenza animata di Bambi della durata di cinque minuti. In numerose sue tele è dato scovare un cerbiatto molto somigliante al Bambi della produzione americana, come altri elementi sono mutuati da pellicole della stessa Disney. Inoltre da segnalare è anche il passaggio che Lisa compie durante gli ultimi anni dall’Europa agli Stati Uniti, una traslazione non solo geografica ma di senso, in cui l’anima deve confrontarsi con nuovi valori e nuovi modelli perciò diviene inevitabile abbracciare temi che abbiano a che fare con il sociale. Emblema di questo cambiamento è Laws of motion in cui la Madonna è la stessa pittrice. Qui la plasticità della tradizione pittorica occidentale si mischia alla sovrascrittura del “modernismo” (il Cristo deposto sembra dormire con indosso i jeans a zampa e gli stivali da cowboy).

Concludendo le opere della Strigini hanno il merito di emozionare, di far sorgere una sorta di epifania nello spettatore emotivamente partecipe. Forse la ragione di questo risiede nella sua capacità di spingere l’indagine in quel varco presente in ognuno di noi ed omnicomprensivo, quel vortice dove prendono latitudine tutte quelle immagini tanto del presente quanto del passato che Elisabeth estrapola dal frastuono quotidiano. Dal canto suo la Stragini si lascia trasportare da ognuna di esse indifferentemente che sia il tatuaggio sul braccio di un passante o la scalinata all’uscita della metro o l’opera di un pittore fiammingo. Non vi è giudizio di priorità perché sono tutte emanazioni dell’inconscio che chiedono ugualmente voce. Ne vien fuori un teatro di vita che colloca la nostra coscienza in una scenografia rassicurante.


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