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David Foster Wallace – Considera l’aragosta

La sensazione del lettore di fronte ad un libro di David Foster Wallace è spesso di soggezione, come un uomo solo di fronte alla forza della natura, come guardare una mareggiata o un temporale. Anche quando non si è di fronte all’immenso (fisicamente e spiritualmente) Infinite Jest ma al più maneggevole Considera l’aragosta si è travolti dall’impressionante mole del cervello di chi scrive, “il genere di cervello che vorresti frequentare” confida Zadie Smith in quarta di copertina.

Considera l’aragosta è una raccolta di articoli e saggi apparsi su varie pubblicazioni americane tra il 1994 e il 2005 ecco di cosa parla il libro, direttamente dall’indice: cinema porno; John Updike; Kafka; sociolinguistica; 11 settembre; Tracy Austin (bimba prodigio del tennis anni ’80); le primarie repubblicane di McCain nel 2000; la sagra dell’aragosta; Dostoevskij; i radiocommentatori politici. Vi sembrano argomenti un tantino eterogenei? Esatto, il miracolo di Wallace è che mentre leggi non hai mai questa sensazione ma invece hai in qualche modo chiaro di cosa si sta parlando. Gli idealisti tedeschi avevano inventato una parola per questo, Zeitgeist, un composto di spirito e tempo: Wallace parlando di aragoste e film porno parla di sé e di noi, dell’America com’è e come dovrebbe essere e come sarebbe auspicabile non diventi mai. Sostenuto da una cultura enciclopedica che sembra abbracciare l’intero scibile umano unita ad un acume nella visione straordinario e ad una ironia pungente Wallace procede nella sua prosa totale e bulimica per epifanie, illuminazioni che aprono squarci di senso anche per il più annoiato dei lettori riguardo il più futile degli argomenti.
Per esempio ecco come commenta la disaffezione nei confronti della politica:

“Ripensiamo a che tipi erano quelli che al liceo si candidavano alle cariche di rappresentanza degli studenti: un po’ sfigati, vestiti con troppa cura, ossequiosi verso l’autorità, ambiziosi ma in modo meschino. Ansiosi di partecipare al Gioco. Il tipo di ragazzi che gli altri ragazzi pesterebbero volentieri, se la cosa non sembrasse tanto inutile e noiosa. E ora pensate alle versioni adulte del 2000 di quegli stessi ragazzi: uomini troppo poco simili a degli esseri umani persino per odiarli. Ciò che suscita la loro vista altro non è che una travolgente sensazione di disinteresse, il genere di profondo disimpegno che spesso è solo una difesa contro il dolore. Contro la tristezza. Di fatto è probabile che se così tanti di noi sono così poco interessati alla politica è proprio perché i politici moderni ci intristiscono, ci feriscono profondamente e in modi di cui è difficile persino trovare il nome, figuriamoci parlarne. È assai più facile alzare gli occhi al cielo e fregarsene”.

La prosa di Wallace è la cosa che subito colpisce chi gli si approccia: i periodi sono lunghissimi e i concetti sono completati e commentati da note a piè di pagina spesso più estese del discorso principale, non è sempre facile stargli dietro, seguire tutte le anse che fa un pensiero che sembra arrotolarsi su sé stesso, ma fidatevi: ne vale la pena, sempre.

Poi c’è quel fatto che questo grande saggio, l’erede più che di romanzieri come Pynchon di altri enormi pensatori/tuttologi come Montaigne e Benjamin, lui che avrebbe potuto essere la Mente del Secolo, si è impiccato a 46 anni. Questo ha messo in crisi tanti, è una cosa a cui i suoi molti lettori non erano preparati e allora ecco che a leggerlo le sue pagine sembrano popolarsi di segni di disagio, quasi presagi di sventura. Per esempio in un passo di questo libro vediamo Wallace lamentarsi del fatto che non è più possibile usare l’arte per far passare un’ideologia. In epoca postmoderna il pensiero forte veicolato da uno scrittore come Dostoevskij non può essere preso sul serio, pena la derisione. Lo scrittore simbolo dell’era post – postmoderna si lamenta anche lui del nichilismo della nostra epoca e prende le distanze dai suoi maestri. Il movimento culturale nato negli anni 50 e 60 con Burroughs, Pynchon e altri era una reazione eroica al perbenismo della società del tempo, allora l’ironia e il sarcasmo erano un modo di smontare il moralismo e avevano forza positiva e propulsiva. Ormai però sono quarant’anni che sogghignamo sulle miserie umane e abbiamo prodotto il nulla, un vuoto pneumatico in cui le opere parlano solo di se stesse e di altre opere, mettendo in luce i meccanismi interni e il loro status di prodotto artificiale.
Se c’è uno che ci ha provato ad uscire da questa autoreferenzialità è stato lui. In quest’opera meglio che in altre.

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