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Conceal|Reveal, l’ombra scolpita nella luce – Russell Maliphant Company

In principio, la Terra era un ammasso informe avvolta nell’oscurità. Poi venne la luce a illuminare le tenebre e quel buio senza eguali si trasformò in vita. Che succede però quando è l’oscurità a illuminare? Si parte proprio da qui al teatro Argentina, un buio primordiale cui fa seguito una luce tenue a rischiarare i corpi di due danzatori (Adam Kirkham e Nathan Young), che con movimenti ampi e fluidi iniziano a indagare la realtà spoglia che li circonda.

Così ha inizio Broken Fall, lavoro storico del pluripremiato coreografo inglese Russell Maliphant, ospite a Romaeuropa con uno scrigno di coreografie, Conceal|Reveal, che racchiude due nuove creazioni in prima nazionale. È anche l’occasione per festeggiare venti anni di sodalizio artistico con Michael Hulls, non un semplice light designer, piuttosto un demiurgo, al pari di Maliphant, con cui crea un linguaggio unico teso a esplorare nuove possibilità espressive fra luce e movimento.

Dall’oscurità del fondale si staglia ora la figura di Carys Staton in pantaloncini e ginocchiere, a scompigliare il rassicurante equilibrio simmetrico del numero “due”. Ora la donna è come “contesa”, se si può parlare di contendere in una danza a-storica dove è il movimento stesso a raccontarsi: tra prese ardite, equilibri in pericolo che sfidano la gravità a un passo da terra, i corpi scivolano l’uno sull’altro disegnando geometrie liquide e architetture solide. Virtuosismo e acrobazia si alternano allora al rigore e controllo nell’incastro di pose plastiche che mantengono il movimento all’interno, come fossero statue futuriste.

Il corpo si fa luce e la luce si fa oscurità in both and. In scena è Dana Fouras che, grazie alla sapienza di Hulls, danza con la sua ombra – proiettata su uno schermo invisibile in proscenio in cui appare duplice e triplice. Fouras è Donna, Madre o spietata Erinni, presenza magnetica e sensuale; abbagliata da un faro accecante puntato al pubblico come una rivelazione, danza con movimenti rapidi e precisi che si rifanno alle arti marziali e discipline orientali, irriconoscibili però sotto la sua malleabilità. Quell’ombra ingigantita e inquietante appare allora come uno specchio che riflette un doppio oscuro con cui fare i conti, Ying e Yang perfettamente combacianti, o ancora un gioco illusionistico di ombre cinesi.

La luce spezza il corpo, lo frammenta in squarci muscolari, lo trasfigura in forme indistinte senza più connotati umani: sono presenze spettrali al chiaro di luna, imponenti statue greche accecate da una luce calda e ramata, o presenze evanescenti che si dissolvono all’interno di coni di luce gelida. È quello che succede in Pièce n° 43, ultimo lavoro concepito per il quintetto al completo e piccola sintesi della poetica di Maliphant. Una coreografia contrastiva, composta di parti corali e assoli, dove al movimento in continuo divenire fa seguito la sua cristallizzazione, all’improvvisazione il rigore formale, alla musica di Beethoven le note contemporanee composte dall’ambient artist Mukul.

“La luce appare dove non splende il sole”, recitava una poesia di Dylan Thomas. E sembra proprio che qui la luce sia concepita a partire dall’oscurità – ne è una sua diretta conseguenza –, poiché essa rivela ciò che inevitabilmente sfugge al controllo dell’ombra. Questa dialettica mobile fra celare e disvelare si compenetra in modo imprescindibile con il movimento creato da Maliphant, un mosaico di elementi compositi, in continua evoluzione, teso a scolpire il flusso stesso dell’energia nei corpi dei danzatori; la luce allora ne costituisce insieme la fonte e la conseguenza.

(Foto ©Johan Persson)

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