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Ceci n’est pas une pipe

Ceci n’est pas une pipe di Magritte è un dipinto… stimolante. Profondamente ironicamente filosoficamente stimolante…

A una prima superficiale occhiata potrebbe apparire semplicemente assurdo, se non si tenesse presente che vero protagonista del quadro è il linguaggio. Linguaggio inteso sia come linguaggio pittorico (i segni che compongono la rappresentazione) sia come linguaggio proprio (la frase nella parte inferiore del dipinto). Sposando le tesi di Merleau-Ponty, enunciate in Il linguaggio indiretto e le voci del silenzio, il senso non è nei segni ma tra i segni: il significato si costituisce nella loro interazione reciproca. Il senso è dunque un’allusione che ci proietta al di là dei segni, il linguaggio non è pura rapresentatio.

Tornando al dipinto, se l’occhio si soffermasse sulla parte superiore della tela troverebbe una semplice rapresentatio, come in un’opera pop, mentre la presenza della frase nella porzione inferiore mette in discussione la certezza che tra lingua scritta, segni pittorici e senso ci sia identità. La rassicurante scritta in una calligrafia infantile allude a quanto il linguaggio, l’uso della parola, sia ingannevole e impotente a catturare l’essenza dell’oggetto di cui si vuol parlare o che si vuol dipingere. Il linguaggio è per questo sempre indiretto, sempre silenzioso.

Usando gli strumenti della logica, Wittgenstein nel Tractatus-Logicus philosophicus evidenziò le confusioni provocate dal nostro linguaggio. Il mondo viene visto dal filosofo come una totalità di fatti e il linguaggio come una totalità di proposizioni sui fatti. I limiti del mondo sarebbero conseguentemente i limiti del linguaggio stesso.

Scrive Wittgenstein nelle ultime pagine del Tractatus: “La logica pervade il mondo; i limiti del mondo sono anche i limiti di essa. Noi non possiamo, dunque, dire nella logica: Questo e quest’altro v’è nel mondo, quello no (5.61). Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere (7).” È ingannevole quindi parlare di parole che “stanno per cose” o “hanno significati”: tutto dipende non dalle parole in sé, ma dal modo in cui le usiamo.

Scrive invece Magritte: “Le cose non hanno fra loro una somiglianza, ma hanno o non hanno similitudini. Solo il pensiero può essere somigliante. Il pensiero somiglia essendo quello che vede, intende o conosce, esso diventa ciò che il mondo gli offre”.

Magritte crea una propria lingua che sovverte l’ordine vincolante esistente, creando associazioni, scambiando volutamente l’attribuzione delle parole ai loro oggetti. In pittura il pittore rende visibile il pensiero. E nel pensiero visibile si instaurano nuovi rapporti tra le parole e gli oggetti. Ci si offre la possibilità di scoprire potenzialità latenti del linguaggio e degli oggetti, ignorate nella vita quotidiana.

Magritte intrattenne un proficuo rapporto intellettuale, anche tramite corrispondenza, con Michel Foucault, e questi, nel saggio intitolato Ceci n’est pas une pipe, ne analizza i quadri. In riferimento al quadro del titolo sostiene che la migliore interpretazione sia considerarlo un calligramma, di cui Magritte sveli la frantumazione e la frattura interna. L’artista si sarebbe ispirato al calligramma, figura poetica in cui la disposizione dei segni che formano il testo e che dicono la cosa di cui si parla coincidono. Il risultato del guardare e del leggere dunque coincidono.

Magritte gioca con la contraddizione insita nell’opposizione del guardare la forma e del leggere il calligramma che tale forma smentisce. E’ il fallimento della congiunzione del guardare e del leggere, il cui risultato è la vanificazione della realtà stessa.

Così scrive Magritte su Le mots et le choses di Foucault, nella lettera del 23 Maggio 1966: “Le parole Somiglianza e Similitudine le consentono di suggerire con forza la presenza, assolutamente estranea, del mondo e di noi stessi: io credo nondimeno che queste due parole non siano abbastanza differenziate e che i dizionari non siano abbastanza costruttivi circa ciò che li distingue.[…] Le “cose” non hanno fra loro somiglianza, ma hanno o non hanno similitudine. Solo il pensiero può essere somigliante. […] Il pensiero è invisibile, come il piacere o il dolore. Ma la pittura fa intervenire una difficoltà: c’è il pensiero che vede e può essere descritto visibilmente. […] L’invisibile sarebbe dunque talvolta visibile? Sì, a condizione che il pensiero sia costituito esclusivamente da figure visibili.[…] Ciò che non manca d’importanza è il mistero evocato di fatto dal visibile e dall’invisibile, e che può essere evocato di diritto dal pensiero che unisce le “cose” nell’ordine che evoca il mistero”.

Assieme a Klee e Kandinskij, Magritte ha saputo scardinare l’impostazione gerarchica che nell’arte vige fra arte, realtà, rappresentazione e significato. In particolare Magritte è impegnato a “separare scrupolosamente, crudelmente, l’elemento grafico dall’elemento plastico: se ad essi accade di trovarsi sovrapposti all’interno del quadro, come una didascalia e la sua immagine, è a condizione che l’enunciato contesti l’identità esplicita della figura e il nome che si è pronti a darle”.

“La famosa pipa…? sono stato abbastanza rimproverato in merito. Tuttavia… la si puo’ riempire? No. Non è vero. E’ solo una rappresentazione. Se avessi scritto sotto il mio quadro – questa è una pipa – avrei mentito !” – René Magritte


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