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Be Legend! o della corruzione dell’infanzia – Teatro Sotterraneo

C’è solo una casetta fatta di cartone sulla scena di Be Legend! di Teatro Sotterraneo. Un gioco per bambini, e bambino è infatti l’attore che entra in scena, prende il centro e si presenta: «Sono Amleto». Altre due giovanissime celebrità si avvicenderanno in scena: Giovanna d’Arco e Adolf Hitler.

Siamo al secondo episodio del Daimon Project della compagnia fiorentina. La prima “puntata” era intitolata Be Normal! (leggi qui) e raccontava della “normale” vita precaria dei trentenni contemporanei. Questa volta si punta invece allo straordinario, Sara Bonaventura e Claudio Cirri accompagnano, accudiscono, angariano con alterne fortune tre bambini che interpretano un’idea di infanzia “celebre”, o meglio un’idea di infanzia sconosciuta di vite – reali, mitiche o immaginate – celeberrime.

Il daimon è un’entità proveniente dal complesso pantheon greco che sta a metà tra l’umano e il divino, e che dell’umano era considerato responsabile e stimolo di certi comportamenti. Eros per esempio era un daimon, così come lo era quello che Socrate indicava come suo prediletto suggeritore. Oggi da dove arrivano gli stimoli che ci rendono ciò che siamo? È questa la domanda della drammaturgia di Teatro Sotterraneo (testi di Daniele Villa) che se nell’episodio “normale” si teneva tutto sommato ancorato a visioni sociologiche e generazionali, compie uno scarto ambizioso quanto delicato nel lavoro “leggendario”.

Il climax perfettamente costruito – con ampio uso di referenti pop, ironia, sdoppiamenti tra voce narrante e personaggio dei due attori in scena – ha il suo apice con l’episodio del piccolo Hitler (la scelta non è immune da momenti controversi, che sollevano dubbi, tutto sommato legittimi, sull’opportunità di esporre i bambini in scena a immagini esplicite dell’Olocausto, a fargli mimare la morte, a ballare avvolti in una bandiera con la svastica.). Sarà stato davvero così cattivo “il male assoluto” a nove anni? E quanto è cattivo pensare una Storia senza di lui? Se potessi uccideresti il piccolo Hitler per fermare l’orrore che è destinato a provocare?

L’infanzia è un’entità complessa, un tempo decisivo e aperto alle influenze più disparate e per questo è soprattutto un tempo dell’uomo protetto e controllato. Scegliendo di inventarsi tre gioventù celebri Teatro Sotterraneo solleva – come detto anche radicalmente – una campana di vetro dall’infanzia contemporanea.

Le ragioni non sono solo nel lavoro con i bambini – che si sentono raccontare la fine tragica della loro storia – ma soprattutto nella spericolata indagine sugli stimoli e le prassi della crescita, sulla distanza tra sogno e destino, innocenza e colpa. E se il tono generale è apparentemente lieve, sorridente, ironico le implicazioni sono tutt’altro che innocue, andando a mettere il pubblico nella scomoda posizione di domandarsi, moralmente, quali effetti la propria prassi quotidiana – prima ancora che la società in cui siamo immersi – provoca nella formazione della personalità di un futuro adulto.

(Foto ©Ilaria Costanzo, Contemporanea Festival 2013)

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