Antropolaroid – Tindaro Granata

Antropolaroid – Tindaro Granata

Cos’è un’eredità? Da quando la parola postmoderno è stata coniata, o meglio, abusata, eredità si è fatto sinonimo di rapporto estremamente conflittuale con quel padre autorevole e controverso che si chiama Novecento. Così, ultimamente, la trappola è sempre innescata: dopo tanto passato, cosa raccontare? E come?

Siciliano di nascita, romano di adozione, Tindaro Granata è un giovane artista dalla schietta umiltà; e un interrogativo del genere, di primo acchito, parrebbe decisamente pretestuoso, eppure a ben guardare il suo Antropolaroid è proprio un’elaborazione di questo grande quesito – aperto – della nostra contemporaneità.

La scena è vuota, al centro del palco campeggia soltanto una sedia coperta da un grande lenzuolo: in quel bianco placido, fin da subito, le luci (Matteo Crespi) tracciano il segno ineffabile ma concreto del tempo, di un passato disertato che attende dormiente, come una vecchia casa senza più famiglia. Così, il discendente di casa Granata torna a varcare l’uscio paterno e ripopolare un secolo di Sicilia rurale con i propri ricordi famigliari.

Tra musiche di balera, vertigini verbali, dolori taciuti, scorrono davanti ai nostri occhi le storie dei parenti, incarnati uno a uno sulla pelle dell’attore e regista; istantanee domestiche, che poco a poco vanno a comporre l’affresco di una storia più grande, ma non un’epopea, un desiderio semmai, tramandato di generazione in generazione: evadere dalla tara sociale, ribellarsi a quel fato ineludibile per cui i figli devono patire la stessa sorte dei padri.

Ecco allora che quel passato confuso e congestionato prende ad articolarsi in un presente continuo, all’interno del quale – e per esigenze formali e per volontà drammaturgica – ogni personaggio ci appare diverso, singolare, quasi isolato, eppure tutti quanti uniti dallo stesso dramma taciuto, mostrandoci dunque sul corpo magnetico di Granata, che una storia famigliare – e dunque un’eredità culturale – non è un pesante fardello da sostenere ma un sentimento sparpagliato nelle pieghe del tempo da intercettare.

Con Antropolaroid, insomma, Tindaro Granata fa della (sua) storia – frastagliata, dolorosa e tragicomica – l’innesco per un futuro diverso, che dopo tre generazioni riesce infine a evadere dal capestro famigliare, riallacciandosi a un sogno coltivato e negato per più di cento anni.

Ascolto consigliato

Teatro dell’Orologio, Roma – 7 gennaio 2015

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