Amore in variazione graduale – Seconda puntata

C’è un bacio che ti ridisegna le linee delle labbra.
Capita che non te ne accorgi subito, e questo ti frega poi per tutto il percorso, perché o ritrovi quel bacio, o ti tocca sperare che le prossime labbra abbiano la curvatura giusta. Perché le tue adesso hanno preso un nuovo accento che le rendono ancora più rare. E il tutto si fa sempre più complicato.
Ma lei di quel bacio in quel bacio era solo come il poeta che torna uomo, come l’attore che crea la parola, come l’artista che esprime l’arte.
Semplicemente l’ordine naturale delle cose.
L’amore in variazione alcolica ti prende per caso nel cuore della notte.
Un cazzuto riff di chitarra che parte dalle palle e arriva nel ritornello giusto giusto al cuore. Un quattro quarti secco.
Che il cuore lo devi spingere di prepotenza.
Che l’amore in variazione graduale potrebbe diventare la fase successiva.

L’unica cosa che posso fare ora è provare a ritornare indietro, a stare addosso ad ogni attimo di quella notte per capire cosa davvero sia successo. Prima, dopo, durante quel bacio che ha cambiato tutto.

Quando decisi di tornare indietro erano passati parecchi isolati, parecchi bicchieri, parecchie sigarette, parecchie persone, parecchie nuvole.
Era passato un nuovo cielo, ed era passato un cielo usato che ora riproponeva la stessa logora immagine di una notte con troppe stelle a farsi la manicure.
La neve distratta ai bordi e gare di burlesque che infestavano le mutande di chi reggeva a stento la notte, scambiandola per un brivido di potere, in qualche villa persa nel fondo della vergogna.
Droga preziosa di quegli anni squallidi.

Jimmy Poet era un cliché. Era questo che lo manteneva ancora in vita, era per questo che ad ogni giro trovava sempre qualcuno pronto ad offrire. Quella sera, la sera del bacio, la sera della sua frase, che solo ora ho capito, lo incontrai che non era più il caso di contare i bicchieri sul tavolo.
Sarà per questo che non diedi subito retta alla sua frase.
Era arrivato in Italia per tre motivi. Il primo era perché aveva il terrore di addormentarsi su un greyhound e scoprire che in America c’era altro oltre che New York. E allora a quel punto avrebbe dovuto rivedere un po’ di cose.
Il secondo era perché non riusciva proprio ad accettare il fatto che il suo sogno di evirare il toro di Wall Street non si fosse realizzato.
E infine era che, qui, il cliché americano trovava sempre qualcuno pronto a soddisfarlo. In tutti i sensi. In tutte le posizioni. E anche in qualche lago.

La serata era cominciata con un aperitivo.
Avevo detto di si ad una rimpatriata con i compagni del liceo, anche se non mi piacevano molto questi appuntamenti. Ma erano tempi di crisi e volevo aiutare i parrucchieri e i negozi di vestiti.
E’ in questi occasioni che i commercianti fanno più affari, tutti a correre a rifarsi il look che bisogna dare l’impressione di aver fatto passi in avanti.
Il tuo numero di matricola è la progressione vincente della lotteria, l’esame di statistica diventa solo un colloquio preliminare al tuo prossimo posto da amministratore delegato, Freud, uno che purtroppo non aveva avuto la fortuna di conoscerti. E ho praticamente finito, mi manca solo un esame.
Rimanevo io. A cercare la proiezione di un film che avevano tolto dal cartellone prima ancora di montarlo.
Mi faceva schifo tutto quel cibo cucinato di corsa e abbandonato lì, tra forchette di plastica che lo palpavano, lembi di stoffa di giacche che ci si inzuppavano, occhi che lo scartavano e bocche che lo consumavano in spazi così stretti che dentro al tubo di un parco acquatico di periferia ti sentivi come dentro una limousine, con champagne e briffate con spogliarelliste incluse.
La fregatura degli aperitivi, per me, è che arrivavo ad un’ora prima della mezzanotte ubriaco e a stomaco vuoto.
E aggiungeteci pure che avevo cominciato a fumare.

Il primo rifugio della serata fu casa di Neil. Passai per un saluto veloce. Stava ascoltando tutta la discografia di Nick Cave senza interruzioni, per cui mentre mi prendevo una birra dal frigo e gli raccontavo quello che era successo non tolse neanche le cuffie. Ma era bello lo stesso che qualcuno rimanesse nella stessa stanza mentre tu parlavi.
Nico mi aspettava a mezzanotte al solito posto. Il sagrato della chiesa.
Era un rito. Ci piaceva finire lì la prima parte della notte per poi cominciare, sempre da lì, l’altra.
Forse cercavamo una benedizione.
La sua serata era andata come al solito, in qualche letto con qualcuno.
E c’è un motivo se sto sul generico.
Nico era il mio migliore amico proprio perché non ci eravamo mai chiesti, in nessun momento della nostra vita, se fossimo amici e se fosse il caso di fare cose da amici.
Ci incontravamo. Sempre. E questo è tutto quello che ci può essere tra due persone.
Il bacio, quel bacio, era successo proprio lì. Poco prima di concludere la prima parte della serata.
Pensavo proprio per questo che fosse la parola fine al primo movimento. Una conclusione sopra le righe per una serata che non aveva fatto altro che confermare il mio stato di fallimento nei confronti della vita, o del mondo. O dei miei compagni. Trovare la differenza era un mestiere che all’epoca nessuno mi aveva ancora insegnato.
Arrivati a questo punto della notte era il turno degli amici. Che intanto ci avevano raggiunto.
Nico stava proponendo un locale, Sara stava pensando che quel locale non gli andava, il suo ragazzo, fresco di qualche mese, e ad una delle prime uscite con noi, squadrava tutti i maschi per capire se potevamo essere possibili concorrenti.
Mi sono sempre chiesto se era poi arrivato a capire chi di noi fosse già passato di lì.
A Fabio non importava, tanto mica pagava lui da bere. Ingannava l’attesa cercando una nuova scusa per farsi offrire la serata. Che lui mica era Jimmy Poet
Paola, come al solito, era arrivata un attimo dopo tutti, e aspettava di raccontarmi dell’altro giorno. Dell’ennesimo bello e dannato che trattava i suoi problemi come la parte più interessante di sé.
Se Nico era il lato scuro della mia luna, Paola era, invece, il lato chiaro.
Era arrivata così nella mia vita. Un giorno che tutte e due avevamo voglia di chiacchierare.
Durante una lezione di qualche materia.
Ricordo bene però la sua scollatura. Ancora meglio ricordo cosa ci avrei fatto.
Parlavamo di Inghilterra, di Londra, di una storia appena finita, e dell’ultimo disco di Sting, che fa sempre figo parlare dell’ultimo disco di Sting, anche se non lo si è mai ascoltato. D’altronde, si sa, Sting fa solo dischi fighi. Mica c’è bisogno di ascoltarli.
Ci conoscevamo da due anni e tanto sesso non consumato. Proprio perché l’amicizia tra uomo e donna qualcuno ha detto che esiste.
Il locale scelto era sempre il solito. Ci faceva stare al sicuro giocare a provare a cambiare per poi consolarci dove eravamo già stati.
La prima a destra, la seconda a sinistra, il centro di notte era ancora più contorto, bisognava avere fiducia per decifrarlo.
Il solito è sempre il solito. E così lo stesso tavolo, gli stessi cocktail.
Si parlava di tutto e di niente. Come al solito.
C’era un film visto, a volte un libro letto. Poi c’erano gli sguardi agli altri tavoli. Qualcuno azzeccava la battuta è per un po’ si cavalcava quell’onda lì. Era farsi compagnia. Aspettare qualcosa. Semplicemente passare una serata insieme. Tutto sembrava seguire senza distrazioni lo spartito.
Quando un gruppo si avvicinò all’ingresso del locale, erano cinque persone, due maschi, tutte e due coi rasta, uno aveva la maglietta prevedibile di Bob Marley, l’altro, invece, quello che stava platealmente rollando quella che non era una semplice sigaretta aveva una maglietta nera tinta unita, erano di statura media, né troppo grossi né troppo piccoli, le tre ragazze con loro sembravano divertirsi molto, erano vestite come la moda del loro branco comandava. In alternativa a tutto quello che le vetrine del centro offrivano. Aspettavano qualcuno, un altro gruppo che stava per arrivare, lo capivo perché una delle ragazze, quella più piccolina, coi capelli ricci e rossi urlava al telefonino sventolando una mano. Riuscì a farsi riconoscere perché dopo un istante un gruppo di persone arrivò.
Scattai in piedi, Nico mi tirò giù stupito, Paola, che mi stava parlando mi chiese cosa fosse successo, le risposi che avevo bisogno di aria e mi avvicinai all’ingresso, dove una ragazza ubriaca cercava di convincere l’amica che in fondo era contenta che il suo ragazzo l’avesse lasciata per la sua migliore amica dopo una storia di tre anni; ci impiegai un po’ a convincerla a farmi passare, ma appena fuori, nessuna traccia, troppe vie partivano da lì per avere il culo di azzeccare quella giusta, e non ero neanche sicuro che fosse davvero lei, che quella ragazza arrivata insieme a quel gruppo fosse davvero la stessa che mia aveva all’improvviso baciato qualche ora prima, e solo allora mi accorsi che il secondo movimento della notte sarebbe stato decisamente mosso. Spensi la sigaretta che mi ero appena acceso, guardai dal vetro i miei amici che ridevano seduti al tavolo in fondo e decisi che avrei dovuto trovarla. Non per il bacio, non perché era semplicemente bellissima, ma per quel pezzo di anima folle, disordinato, scontroso, dolce che aveva ciondolato sul nostro respiro in quel momento interrotto dal contatto delle labbra.
La mia notte era una variazione graduale che prima o poi avrebbe portato a lei.
O almeno così credevo.


Grazie


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