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A German Life

Brunhilde Pomsel, ultima rappresentante vivente dell'establishment nazista

Ultima testimone oculare dell’establishment nazista, avendo fatto parte dei meccanismi interni di regime, Brunhilde Pomsel, a 103 anni ha deciso di raccontarsi, dopo aver rilasciato nel 2011 un’intervista al quotidiano tedesco Bild, nel documentario A German Life, realizzato da Christian Krönes, Olaf S. Müller, Roland Schrotthofer e Florian Weigensamer.

Le testimonianze, i ricordi e le considerazioni della ex segretaria, stenografa e dattilografa del Ministro della Propaganda nazista Joseph Goebbels, uno dei più stretti e influenti collaboratori di Adolf Hitler, confluiscono in una lunga (30 ore di girato) e lucida intervista nella quale emergono riflessioni sulle scelte e ricadute morali del singolo così come di una nazione intera. La donna ripercorre la propria vita intrecciando gli avvenimenti storici che l’hanno accompagnata, dall’ascesa del nazionalsocialismo allo sterminio degli ebrei, dagli ultimi giorni passati nel bunker con il Fuhrer, dove si suicidò insieme ad altri suoi collaboratori, fino alla successiva prigionia sovietica. L’insieme delle scelte che la donna ha compiuto, tra cui quella di aderire al Partito Nazista nel 1942 per ottenere un lavoro estremamente remunerativo, coperta di soldi anche se “non c’era nulla da comprare”, sono associabili a quelle dell’intero ceto medio tedesco, sedotto dal fascino, dalle illusioni e promesse del Terzo Reich.

Davanti alla camera, la donna confessa la propria frivolezza, ingenuità e ipocrisia, tanto da sostenere che, china e ligia alle sue mansioni, non era minimamente interessata alla situazione politica e a conoscenza di quello che accadeva realmente. Disposta, tuttavia, ad ammettere le proprie colpe solo a patto di condividerle con un popolo intero. La Pomsel traccia un ritratto acuto e spietato del regime nazista e dei suoi esponenti, specialmente di Goebbels, un uomo affascinante, “bello e curato”, ma soprattutto un attore fenomenale, tanto che “nessuno sarebbe riuscito meglio di lui a trasformarsi da una persona civile e seria ad un bullo esaltato”.

Preziosissime immagini di repertorio, alcune inedite, provenienti da filmati di propaganda americani, nazisti e sovietici, raccordano gli episodi della vita della donna, i cui capitoli si aprono con aforismi deliranti di Goebbels stesso (“una volta che inizi a mentire, continua a farlo bene”). La Storia che si intreccia con gli eventi personali della protagonista, come se fosse lei stessa a commentare attraverso il suo vissuto le immagini d’archivio. Nonostante il gerarca nazista sia centrale all’interno dei racconti della donna, la sua figura viene mostrata solamente una volta, nei filmati che lo ritraggono da lontano durante un discorso in Piazza San Marco a Venezia.

A riempire lo schermo, con un primo o primissimo piano, è, invece, il volto Brunhilde Pomsel, fotografato da un bianco e nero estremamente definito e contrastato. Le sue rughe danno vita a chiaro-scuri che tagliano lo schermo, così come altre tracce indelebili, non sulla pelle ma nella memoria, danno vita ad un flusso di coscienza che getta altra luce su uno dei fatti più drammatici della storia dell’umanità. Il film non vuole, tuttavia, essere un tardo processo alla donna o chi ha perpetrato i crimini nazisti, bensì una testimonianza rigorosa e attuale della banalità del male, concetto a cui si riferì Hannah Arendt nel suo testo (una raccolta delle 120 sedute del processo a Gerusalemme ad Adolf Eichmann, al quale assistette come inviata del New Yorker). Non solo una riflessione sull’Olocausto, ma un memoriale, un monito, la cui struttura, la cui natura, la cui estetica lo rendono un oggetto senza tempo. Un documento, imprescindibile e continuamente attuale, che sottolinea come la semplice accettazione, assenso e silenzio, nella società così come nella coscienza, possano avere delle conseguenze devastanti.

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