drago invisibile

Il drago invisibile – David Lowery

Rispolverando – asciugato e attualizzato – il quasi omonimo film del 1977, con Il drago invisibile la Disney rimette in campo una pellicola dal calibrato impatto visivo affidata al regista David Lowery (Senza santi in paradiso), in cui convivono intuizioni originali e accattivanti con evidenti e consapevoli richiami, fra l’altro, a Mowgli e Il libro della giungla o i voli di Atreyu e Falkor ne La storia infinita.

Sopravvissuto a un incidente stradale che lo rende orfano, il piccolo Pete (Oakes Fegley), di soli cinque anni, si ritrova da solo in un bosco. Qui viene presto a contatto con un enorme drago verde, Elliott, dal carattere bonario e la straordinaria capacità di mimetizzarsi tanto da rendersi appunto invisibile. Tra i due si instaura ben presto un legame profondo. Anni dopo, nel paese vicino, l’anziano signor Meacham (Robert Redford) intrattiene i bambini del posto raccontando di quando lui stesso, da piccolo, si era trovato al cospetto di questa creatura fantastica che, afferma con certezza, continua ad abitare lì a poca distanza. Da questo dualismo nel rapporto col “mostro” si dipana allora una trama che mescola insieme l’avventura della vita selvaggia con l’inevitabile scontro causato dalla civiltà, nel tentativo inevitabile di reintegrare il selvaggio Pete e fare luce sull’esistenza del drago.

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Ma quello che viene costruito in questa pellicola è una sorta di lavoro sulle “tre età dell’uomo” e la loro disponibilità a lasciarsi guidare dalla fantasia, un triangolo i cui vertici sono rappresentati da Pete – l’infanzia – la matura Grace (Bryce Dallas Howard), esperta guardia forestale e figlia dell’anziano Meacham, terzo polo della triade. Ovviamente solo due, infanzia e vecchiaia, sono i personaggi capaci di “guardare oltre il proprio naso” , come dice lo stesso Meacham, per poter superare le certezze razionali e credere all’esistenza del drago. L’età di mezzo, sia nella versione buona di Grace che nel polo negativo dei boscaioli/bracconieri che tenteranno di catturare quella creatura, deve compiere un lungo percorso di avvicinamento prima di poter accettarne l’effettiva presenza.

In questa diversificazione delle parti in gioco, Il drago invisibile, condito di ironia e una buona dose d’azione, riesce a calibrare i riferimenti espliciti e le possibilità grafiche offerte dall’animazione in CGI. Il 3D non aggiunge molto, ma agevola la spettacolarità dell’insieme, soprattutto nelle visioni dall’alto del paesaggio offerte dal drago alato.

Un buon film d’avventura non solo per i più piccoli, dunque, venato come è comprensibile di una certa malinconia nel rapportare il mondo selvaggio della natura alle convenzioni della città, ancorché (o forse proprio per questo) lontana dalla metropoli, e ribadita qui anche dalle tonalità cupe e dalla penombra insistita del bosco.

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