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Le Voyage Dans la Lune – Air

Gli Air ripartono dal cinema. Anzi, sarebbe più corretto dire dalle radici del Cinema. Infatti il duo francese, per il suo ritorno, chiama in causa Georges Méliès. A 110 anni dalla realizzazione, il film più famoso di uno dei padri del cinema viene celebrato con una serie di iniziative. Avrete per esempio potuto ammirare il pregevole omaggio di Martin Scorsese in Hugo Cabret.

All’ultimo Festival del Cinema di Cannes è stata presentata una versione restaurata del film Viaggio nella Luna ed è stato richiesto proprio agli Air di scandire i vari fotogrammi con la propria musica. E sappiamo quanto sia stretto il rapporto fra cinema e Air. Infatti, risale al 2000 la collaborazione con Sofia Coppola per la realizzazione della splendida colonna sonora dell’altrettanto gradevole film Il Giardino delle Vergini Suicide e che ricorderete soprattuttto per l’ipnotica Playground Love.

E’ necessario mettere subito una cosa in chiaro: Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel hanno raggiunto la massima espressione artistica con quella colonna sonora e con quell’irripetibile album di debutto del 1998 Moon Safari. Poi nei lavori successivi hanno mantenuto un buonissimo livello, ma senza produrre cose memorabili.

E anche per la sonorizzazione del capolavoro di Méliès (il gruppo si “appropria” dello storico fotogramma della luna con il razzo nell’occhio per l’artwork dell’album), il risultato è di notevole livello, ma poco entusiasmante. Prevale sempre l’elettronica addomesticata, vellutata; questa volta però è condita da una maggiore epicità e una accentuata psichedelia che ben interagisce con lo scenario visuale della pellicola in questione. Ma non mancano anche altri tipi di contaminazione. L’aspetto più apprezzabile è proprio una certa semplicità di fondo che risiede nel progetto, come lo stesso gruppo ha dichiarato:

«A Trip to the Moon è senza dubbio un progetto molto più organico rispetto ai nostri lavori passati. Cercavamo un suono “fatto a mano”, artigianale, un po’ come gli effetti speciali di Méliès. Tutti gli strumenti sono suonati dal vivo, e così come il film anche l’album rappresenta una forma d’arte molto spontanea.»

Si comincia con Astronomic Club, nella quale le distorsioni “lisergiche” psichedeliche diventano subito protagoniste con una vocalità appena accennata ma in linea con la cupezza del pezzo. Il successivo Seven Stars mantiene questo mood ed è impreziosito dalla presenza della voce di Victoria Legrande dei Beach House: grandissimo lavoro compulsivo della batteria, sintetizzatori in cattedra e marchio di fabbrica elettropop che viene fuori alla distanza; gran finale che parte dal countdown per poi sciogliersi in una sorta di dolce drum’n’bass che contrasta perfettamente la grazia vocale di Victoria.

Dopo il breve ed evitabile intermezzo pianistico di Retour Sur Terre, il ritmo incalza in Parade, caratterizzata da sonorità più eighties con un’elettronica dallo stile decisamente più retrò e che si avvicina molto a quello dei conterranei Daft Punk; i risultati sono gradevoli, a parte il finale sfumato. Il pianoforte ritorna protagonista in Moon Fever, decisamente più convincente grazie al loop nel quale viene introdotto l’ascoltatore.

Un tocco di funk e principi di basi hip-hop ritroviamo in Sonic Armada, canzone accompagnata da un video che rende molto bene l’efficacia del sonoro rispetto alle immagini. Uno dei migliori momenti dell’album vede come ospite la partecipazione degli Au Revoir Simone che contribuiscono in maniera decisiva al risultato di Who Am I Know?: un dark ambient che viene reso più efficaci dall’uso spettrale della voce e il tocco di classe del vibrafono.

In Decollage, si dilatano i tempi ma è l’incredibile performance delle percussioni, dosate ma efficaci, e del pianoforte indiavolato di Dunckel che fanno la differenza e rendono sublime il pezzo. Per Cosmic Trip, le sensazioni e le atmosfere ricordano quelle di Parade, con la differenza della presenza del martellante Wurlizer e del parlato, che rendono molto più suggestivo il tutto. Il disco si conclude con la soffice e onirica Lava, preceduta dal coro di voci di Homme Lune: la canzone ha una notevole progressione che sporca il suono, donandogli una certa acidità. Probabilmente, il componimento più coraggioso dell’intero lavoro.

Ed è proprio il coraggio a mancare agli Air in questo disco: l’intero album si appoggia su sonorità già collaudate; la sperimentazione è cercata in rare occasioni. Ma non si può dire che il risultato finale non sia buono, anzi: l’obiettivo di legare la massima espressione di Meliés con la propria musica è riuscita, grazie proprio a quell’aspetto evocativo che riesce a trasformare in immagini le note musicali.

 

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