Foto di scena ©Luca Del Pia

Sesso e Potere al Settimo Cielo

Dall'Angelo Mai al Teatro di Roma: Giorgina Pi porta in scena Caryl Churchill

Cloud Nine, testo-chiave di Caryl Churchill, una delle più grandi drammaturghe viventi, è stato scritto tra il 1978 e il 1979 per la Joint Stock Theatre Company di Londra. Più di trenta anni dopo, Giorgina Pi lo porta in scena per la prima volta in Italia, al Teatro India (produzione Teatro di Roma), e quello che abbiamo visto è uno spettacolo che non sembra essere minimamente scalfito dal tempo, nonostante oggi sia stato presentato in una realtà profondamente mutata rispetto all’Inghilterra degli anni ‘80.

Ben Garrison Abandon Ship (2016). ©crrrgraphic.com

Ben Garrison Abandon Ship (2016). ©grrrgraphics.com

Forse il motivo della contemporaneità di questo testo un po’ profetico risiede nel fatto che, pur essendo legato a una realtà socio-culturale specifica e ormai superata, Settimo cielo tocca in maniera profonda delle corde da sempre radicate nell’essere umanola questione dell’identità e, in particolare, quella sessuale, sempre mutevole, incerta, vivace o repressa. 

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Churchill però va anche oltre, poiché mettendo in crisi la norma dominante dell’uomo bianco eterosessuale pone in evidenza due categorie più minoritarie e vulnerabili, direbbe Judith Butler: gli omosessuali e le minoranze etniche, attuando un parallelismo tra oppressione sessuale e coloniale. È proprio sul concetto dell’identità e sulle sue relative implicazioni all’interno della società che Giorgina Pi si sofferma, schiudendo una visione registica che va ben al di là della volontà di «rappresentare un testo» per problematizzarlo e interrogarlo alla luce di ciò che esso può dirci di noi oggi.

Settimo Cielo rappresenta così una riflessione poderosa sulle politiche sessuali e il rapporto indissolubile che intercorre fra oppressione e desiderio, fra il potere (coloniale) che esercita il controllo sui corpi e i corpi che vengono normati da esso – come se fosse la trasposizione del pensiero di Michel Foucault in Storia della sessualità sul palco – attraverso una macchina drammaturgica complessa e allo stesso tempo estremamente godibile.

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Due sistemi di società e di pensiero sono messi a confronto nei due atti che rappresentano il percorso di un nucleo familiare immerso prima nell’Africa coloniale del 1879, poi nella Londra del 1979 alla vigilia del governo Thatcher e della rivoluzione punk. Caryl Churchill fa passare però solo 25 anni fra il primo e secondo atto, mostrandoci in linea brusca e diretta il passaggio da una società patriarcale che implode in sé stessa, in cui tutte le pulsioni sessuali convergono nella repressione e nella «devianza», a una più libera e disinibita che, al contrario, esplode all’esterno nella ribellione e nella provocazione al sistema borghese, anche se questo non vuol dire che sia necessariamente più felice.

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

In questo gioco esilarante di tradimenti e segreti, che il gruppo di attori – impeccabili – sostiene con la giusta dose di sarcasmo e spregiudicatezza nonché con una grande padronanza dei movimenti e dello spazio, ecco che la scelta del cross casting di Caryl Churchill non solo ha la funzione di portare sul palco in forma di incubo tutte le fobie inconsce degli inglesi dell’epoca (se gli schiavi fossero i bianchi? se le donne si comportassero da uomini? e viceversa), ma mette in crisi i pregiudizi razziali, come anche le nozioni di virilità e femminilità, dimostrando come queste ultime siano costruzioni culturalmente imposte e codificate a prescindere dal sesso biologico.

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

In un’atmosfera cupa e incombente (luci Andrea Gallo) la scena è vuota, tranne che per un mappamondo à la Chaplin (che piano piano si gonfierà impercettibilmente), un paio di poltroncine da sala e una scritta al neon che non lascia dubbi: Africa 1879. In pieno colonialismo inglese, ecco agitarsi sul palco una famiglia che la parola beffarda di Churchill prendespietatamente in giro per la sua mollezza e ipocrisia, per i suoi pregiudizi e la sua presunta superiorità: tra gli altri, c’è Clive (Marco Spiga), il capo famiglia che cerca di domare gli autoctoni rivoltosi, sua moglie Betty (interpretata da un uomo, Alessandro Riceci) sottomessa al suo volere e segretamente innamorata di Harry (Marco Cavalcoli), un esploratore che a sua volta prova attrazione per Edward (una donna, Tania Garribba), il figlio omosessuale di Clive e Betty; e ancora c’è lo schiavo Joshua (interpretato da un attore bianco, Lorenzo Parrotto) e Ellen (Sylvia De Fanti), la governante lesbica innamorata di Betty che deve riparare con un matrimonio con Harry per nascondere la sua vera natura.

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Intervallo. Londra 1979, la rivoluzione punk è alle porte ma la stessa famiglia non se la passa molto bene: c’è sempre la stessa atmosfera cupa e non proprio spensierata, niente da meravigliarsi visto che Londra usciva proprio in quegli anni da una condizione di estrema miseria. Ora il cross casting non è (quasi) più necessario perché finalmente i personaggi sono ciò che vogliono essere: la libertà è arrivata ma con essa non la liberazione dai propri condizionamenti sociali che continuano a incombere, proprio come i fantasmi vittoriani che riemergono dal fumo del passato ricordando ai personaggi da dove provengono.

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Betty (Sylvia De Fanti) ora ha lasciato Clive ma è totalmente impreparata alla sua nuova emancipazione, il figlio Edward (Alessandro Riceci) è un gay dichiarato nel ruolo di «moglie» nei confronti dell’irrequieto Gerry (Marco Spiga); la figlia Victoria (Tania Garribba) è sposata con l’opprimente Martin (Marco Cavalcoli) ma ha una relazione lesbica con Lin (Aurora Peres). Tutti sono incerti, spaesati ma pur sempre animati dalla volontà di reinventare nuove modalità di relazione e costruire forme alternative di convivenza. Così, questa società fragile e in continua evoluzione delineata da Churchill trenta anni fa continua a porre delle domande valide anche adesso: cosa vuol dire essere «queer»? quali sono le etichette che ancora oggi condizionano la nostra identità? e cosa succede quando improvvisamente i rapporti di potere si sgretolano e ci ritroviamo da soli con la nostra libertà?

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Foto di scena ©Futura Tittaferrante

Giorgina Pi è la tessitrice invisibile di queste domande che emergono da Settimo Cielo (caratterizzato dall’approccio multidisciplinare del Collettivo Angelo Mai); e non ha paura, fin da subito, di svelare attraverso una regia “aperta” l’artificio che si nasconde all’interno. Alla fine, forse, la chiave di tutto sta proprio nel personaggio di Betty, cui è riservata la conclusione, colei che meglio di tutti si riappropria del desiderio di essere sé stessa per costruire qualcosa di nuovo: un percorso difficile e faticoso, e un’esigenza dell’uomo contemporanea a ogni epoca—quel «terzo atto», come afferma Giorgina Pi, ancora da scrivere, che proprio a noi spetta.

Ascolto consigliato

In apertura: Foto di scena ©Luca Del Pia

SETTIMO CIELO
di Caryl Churchill
traduzione Riccardo Duranti
regia Giorgina Pi
con Marco Cavalcoli, Sylvia De Fanti, Tania Garribba, Lorenzo Parrotto, Aurora Peres, Alessandro Riceci, Marco Spiga
scene Giorgina Pi
costumi Gianluca Falaschi
luci Andrea Gallo
ambiente sonoro e dimensione musicale Collettivo Angelo Mai
tecenico del suono Lorenzo Danesin
nell’ambito di Non normale, non rassicurante. Progetto Caryl Churchill a cura di Paola Bono con Angelo Mai
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
in collaborazione con Sardegna Teatro, Angelo Mai/Bluemotion

Roma, Teatro India, 22 febbraio 2018

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