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Per tornare a risplendere dopo il dolore

Le Umane Scintille di teatro dell'Ex Lavanderia

13 maggio 1978:  la legge 180 – conosciuta come legge Basaglia dal nome dello psichiatra triestino che per primo ripensò la condizione psichiatrica in termini di umanità – decreta la chiusura dei manicomi, sancendo il riconoscimento del diritto alla cittadinanza del malato psichiatrico. Ci vorranno però altri 21 anni per far sì che gli istituti psichiatrici siano definitivamente chiusi nel 1999. Nel 1994, Roma era diventata la prima città europea a non avere più un manicomio (per approfondire cosa sopravvive dell’istituzione manicomiale abolita nel ‘78 segnaliamo l’ottimo web-documentario  di  Maria Gabriella Lanza e Daniela Sala, finalista del premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo). Forse non tutti sanno che l’ex complesso manicomiale più grande d’Europa si trova proprio a Roma, nel quartiere di Monte Mario, all’interno del Parco Santa Maria della Pietà, con i suoi 41 padiglioni che rappresentavano una piccola città nella città: una città-lager dove gli internati, all’epoca rinchiusi per i più svariati e futili motivi (bastava un leggero ritardo, un disturbo motorio o il non corrispondere a dei rigidi ruoli sociali), erano tenuti in contenzione e sottoposti a “cure” inaccettabili per la dignità umana.

Progetto di street art ideato dallo scrittore Maurizio Mequio e realizzato dagli artisti di Muracci Nostri. Foto ©Sarah Curati

Progetto di street art ideato dallo scrittore Maurizio Mequio e realizzato dagli artisti di Muracci Nostri. Foto ©Sarah Curati

Ora, dopo la rivoluzione del 1978, la legge Basaglia, per rispetto della natura degli ex manicomi, vieta che al loro interno vengano ospitate di nuovo delle strutture psichiatriche, eppure dopo il 1994 nel Parco del Santa Maria della Pietà, la tendenza ad una ri-ospedalizzazione del comprensorio è sempre stata molto forte (oggi alcuni padiglioni sono in stato di rovina mentre altri sono stati riconvertiti in poliambulatori gestiti dalla ASL Roma 1), tanto da diventare un campo di battaglia tra le esigenze della politica e le richieste della società civile. Il 15 ottobre 1994 un centinaio di persone fra cittadini e rappresentanti di associazioni occuparono il padiglione 31 con un gesto di disobbedienza civile formando il nucleo fondativo di quella che da lì a un mese sarebbe diventata l’Associazione Ex Lavanderia, nata con il chiaro intento di destinare il padiglione a un utilizzo sociale e culturale nel rispetto della legge Basaglia – ad oggi l’unico che da 13 anni organizza attività di promozione e diffusione artistica in un quartiere attorno a cui gravitano molte strutture ospedaliere ma nessun teatro.

Progetto di street art ideato dallo scrittore Maurizio Mequio e realizzato dagli artisti di Muracci Nostri. Foto ©Sarah Curati

Riguardo questa mission, però, la politica ha sempre dato le sue risposte: non è bastata la raccolta delle 12.500 firme per una proposta di legge (n.304 del 2 dicembre 2015) per il riuso del comprensorio in termini culturali (la proposta sta ferma da circa due anni e mezzo e non è mai stata discussa dalla Regione), o il progetto partecipato del Coordinamento città ideale, composto da più di 60 associazioni e gruppi di quartieri, o ancora le 6.000 firme della petizione popolare o le direttive del Piano Regolatore Generale, che prevede la delocalizzazione dei servizi in periferia (qui l’ultimo comunicato stampa del 6 marzo 2018 che riassume le vicende degli ultimi anni): nel 2016 la delibera 787 della Regione ha affidato tutta la gestione del comprensorio alla ASL e, proprio recentemente il TAR, cui l’associazione aveva fatto ricorso, ha confermato la sentenza conferendo alla ASL di fatto il potere di chiedere lo sgombero coatto del padiglione da un momento all’altro.

Progetto di street art ideato dallo scrittore Maurizio Mequio e realizzato dagli artisti di Muracci Nostri. Foto ©Sarah Curati

Proprio in questo momento difficile in cui l’Associazione si è vista anche staccare la corrente elettrica, il collettivo ha deciso di reagire organizzando una rassegna di teatro contemporaneo: Umane Scintille, pensata come un momento di condivisione e di riflessione per rilanciare uno spazio da cui possano scaturire scintille di bellezza, di pensiero e di partecipazione. La rassegna è stata pensata per intercettare un pubblico più trasversale possibile, ecco perché, fra le varie proposte, sono sfilate la comicità surreale del Nano Egidio (qui la nostra recensione di Contro il male di vivere spesso incontrato), il teatro ragazzi di Kermesse di Pierre Jacquemin, l’impegno civile dello straziante Palmina, amara terra mia di Teatro Prisma e la riflessione di stampo esistenziale de I mancati giorni di Gianluca Riggi, che sono gli spettacoli a cui abbiamo potuto assistere da vicino.

Progetto di street art ideato dallo scrittore Maurizio Mequio e realizzato dagli artisti di Muracci Nostri. Foto ©Sarah Curati

Il teatro del padiglione 31 non è un teatro qualsiasi – come rimarca più volte Giada Parlanti, attrice e attivista del collettivo che prima di ogni spettacolo introduce il pubblico alla natura dello spazio in cui siamo – incombe un’energia grave in questo luogo che era davvero la lavanderia del manicomio, prima a tetto aperto, in cui venivano lavati e stesi i panni dei pazienti. Ora, lo spazio è stato riconvertito in un progetto di Teatro Pubblico già conosciuto dalle compagnie, che possono utilizzare lo spazio per le prove in cambio di un’offerta libera, andando incontro così al problema della carenza di spazi che spesso le compagnie, soprattutto emergenti, si ritrovano ad affrontare (in questo senso segnaliamo anche un altro spazio autogestito, il progetto Scup in via della stazione Tuscolana, che ultimamente ha ospitato la rassegna di teatro “Rassegnamoci” con spettacoli proposti da giovani compagnie emergenti). In questo spazio gravido di una storia sofferta va in scena Kermesse, scritto e interpretato da Pierre Jacquemin e ispirato al film Giorno di festa di Jacques Tati, regista, sceneggiatore, attore e mimo francese, nonché maestro del genere slapstick paragonato a Chaplin e Keaton, che attraverso il linguaggio della comicità aveva saputo portare sul grande schermo i tic e le inquietudini della società francese degli anni ’50 che si stava preparando a vivere ritmi sempre più frenetici.

Lo spettacolo, come il film, descrive la meraviglia e la trepidante attesa che può suscitare una festa in una piccola città rurale, l’immaginaria Follainville, chiamata a partecipare ai preparativi. Jacquemin trasporta così l’incanto della kermesse all’interno di una valigia da dove apparirà una piccola giostra animata da un teatro di figure e si cimenta nei panni del tonto e maldestro postino François, che dopo aver visto un documentario sulle poste americane ne rimane talmente affascinato da voler importare il “mito dell’America”, preso di mira da Tati con una certa ironia, e il valore della velocità in una città abituata a ben altro stile di vita; una velocità che sembra andare a discapito delle relazioni umane, tema più che mai attuale oggi. E’ un tempo sospeso e onirico però quello in cui prendono vita le gag esilaranti di François, attraverso un linguaggio del corpo che si rifà al mimo e al teatro di strada, lasciando agli spettatori la possibilità di immaginare il villaggio e i suoi abitanti. Ancora sotto forma di studio,  a nostro avviso, Kermesse è un buon punto di partenza per il giovane attore e regista belga per affinare ancora di più quella comicità sottile che prende forma, come lo slapstick, più da un dato visivo che dalle parole, e che però sottende una beffarda critica alla società.

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Kermesse. Locandina

Con I mancati giorni di Gianluca Riggi ci immergiamo in tutt’altra atmosfera. Lo spettacolo nasce da una raccolta di monologhi giovanili che racchiudono le ansie e le inquietudini di due uomini giunti alla compiuta giovinezza e alle prese con le prime esperienze amorose, le prime angosce, i primi fallimenti . Ad incarnare tutto questo in scena ci sono Giovanni Alfieri e Riccardo Cananiello in canottiera e mutande, ora parlando in italiano o dialetto, ora chiedendo la complicità del pubblico,  ora impastando parole di amore, morte, guerra e sesso in una sorta di pastiche postdrammatico che prosegue per frammenti di vita, sensazioni, stati d’animo.

È proprio questa la particolarità della scrittura di Riggi: la capacità di spaziare da riflessioni esistenziali di tipo privato a uno sguardo più politico che guarda ai conflitti del secolo passato, per cui può succedere che da un monologo su un amore perduto possa far eco l’esplosione inquietante di un attentato terroristico. I due protagonisti si muovono su due binari paralleli – a volte i monologhi si amalgamano in modo organico, altre volte qualche passaggio è più difficile e la comprensione non è immediata – soltanto alla fine la loro relazione scenica si intreccia, nel momento in cui diventano due figuri beckettiani alla fine del mondo, senza arte né parte, costretti a vivere insieme loro malgrado. I mancati giorni è uno spettacolo allo stesso tempo surreale e tragicomico, pervaso da un sentore novecentesco,  non solo per i richiami all’attualità del tempo come il terrorismo o la guerra in Bosnia, ma anche  per la dissoluzione di un’unità tematica e  una sorta di minimalismo “beckettiano” che circoscrive il personaggio nella sua solitudine, nel suo sarcasmo disperato e nel suo dolore “ridicolo” ma estremamente vero.

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I mancati giorni. Foto ©ufficio stampa

Palmina, amara terra mia è invece un luminoso esempio di teatro civile che con coraggio e ferocia va a indagare una tragica vicenda di cronaca degli anni ’80 per troppo tempo taciuta . Il monologo scritto e diretto da Giovanni Gentile e interpretato da una convincente e appassionata Barbara Grilli parte da lontano: da una ricognizione della cultura italiana degli anni ’80, ma ecco che piano piano si delinea nelle parole quell’area microscopica dove l’11 novembre 1981 avvenne il tragico delitto di Palmina Martinelli, la quattordicenne di Fasano in provincia di Brindisi, bruciata viva per sfuggire a un giro di prostituzione. Una storia raccapricciante dall’esito giudiziario ancora più scandaloso: gli imputati, infatti, furono assolti con formula piena, nonostante i loro nomi fossero stati pronunciati chiaramente dalla ragazza in agonia. La testimonianza della ragazza fu giudicata falsa e l’omicidio passò per suicidio. A più di trent’anni di distanza, il monologo non ha paura di chiamare le cose con il loro nome: di nominare una giustizia con due pesi e due misure a seconda del ceto sociale di chi la pretende, di dare merito a un pubblico ministero che cercherà fino all’ultimo di fare giustizia, o di scagliarsi contro una criminalità organizzata con cui in quegli anni si doveva fare i conti.

Come nel migliore teatro di narrazione, Barbara Grilli è sola in scena, supportata soltanto da parole affilate e fervide che non solo raccontano il dipanarsi inesorabile della storia ma che si calano anche nella mentalità di un periodo difficile della periferia del Sud dove i sogni delle ragazzine comuni si scontravano con un mondo fatto di traffici illegali, prostituzione e una visione della vita contadina e maschilista. Nonostante la tragicità della storia, lo spettacolo non fa leva su facili pietismi ma si concentra lucidamente, nonostante l’inevitabile carico emotivo, sulla verità dei fatti con un grido di rabbia e indignazione, dando a Palmina, suo malgrado un simbolo di forza e di ribellione a un destino non voluto, un riscatto meritato che nella sua breve vita non ha mai potuto avere. Ricordiamo infatti che lo spettacolo ha contribuito all’intitolazione a Palmina Martinelli di due piazze, una a Modugno e una a Polignano a Mare e alla ricusazione da parte della Corte di Cassazione di Roma della richiesta di archiviazione delle indagini voluta dal Tribunale di Brindisi.

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Palmina, amara terra mia. Foto ©ufficio stampa

Come abbiamo potuto vedere, la rassegna Umane Scintille è solo un esempio di come sia possibile trasformare un luogo di sofferenza indescrivibile e di cattività in un centro di aggregazione culturale e sociale dove si pratica la libertà, il confronto e la condivisione attraverso il teatro; questo non è solo un nobile ideale ma una realtà concreta che l’Ex Lavanderia porta avanti quotidianamente da 13 anni, animata dal desiderio di offrire una proposta culturale di qualità ai cittadini di un quartiere in cui questa proposta viene fortemente a mancare. Certo la strada è ancora lunga, soprattutto per la questione dell’esigua affluenza del pubblico – sia per la posizione periferica, che potrebbe scoraggiare chi abita più lontano, sia per la difficoltà di intercettare un pubblico poco abituato all’evento teatrale. Eppure il Padiglione 31 è già un esempio virtuoso di una politica culturale partecipata e cogestita dal basso senza scopi di lucro (nonostante la completa volontarietà della rassegna, la sottoscrizione consigliata agli spettacoli ha permesso di garantire alle compagnie il 60 % – certamente simbolico – degli incassi),  che potrebbe diventare un modello per altre strutture, nonché uno spazio di scambio e condivisione fra il pubblico e le compagnie e anche fra le compagnie stesse. In fisica, per far scaturire una scintilla bisogna che ci sia attrito fra due conduttori; se si è in due, è già teatro. Ma si può essere anche molti di più.

 

Ascolto consigliato

Padiglione 31 Ex Lavanderia, Roma – 27 maggio, 8 e 15 giugno

KERMESSE

di e con Pierre Jacquemin
progetto sostenuto dalla residenza artistica presso S.C.U.P Teatro – Roma
Ambito “teatroiscoming – Rassegniamoci”

PALMINA, AMARA TERRA MIA

di Compagnia Teatro Prisma
regia di Giovanni Gentile
con Barbara Grilli

I MANCATI GIORNI

di Gianluca Riggi
con Giovanni Alfieri e Riccardo Cananiello

Grazie


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