Foto ©Francesca Gardini

Ma io, perché venirvi?

Arte e partecipazione nell’Inferno delle Albe

Libertà, cantava Gaber, è partecipazione. Però la democrazia – “il sogno di…” (non la beffa che chiamiamo tale) – non è buona per tutto. Ci vuole anche selezione, ordine, discrimini, altrimenti partecipazione rischia di trasformarsi in improvvisazione, un po’ come accade con i Cinque Stelle, dove l’entusiastica spinta dal basso sconta constantemente la propria inesperienza. O per fare il solito estremo esempio: doveste operarvi al cuore, vi affidereste a un medico che ha beneficiato di qualche raccomandazione ma è esperto cardiologo oppure a uno scrupoloso e onestissimo volenteroso con qualche rudimento? Certo, sarebbe meglio regolamentare il primo e sostenere il secondo, però l’operazione da fare rimane.

Spencer Unick Sea of Hull (2016) ©Spencer Tunick

Spencer Tunick Sea of Hull (2016) ©Spencer Tunick

Ecco, presa con le dovute pinze la schematizzazione, una situazione analoga si presenta con il nuovo progetto del Teatro delle Albe. Va vissuto come spettacolo o come chiamata cittadina al teatro? Perché Inferno è entrambe le cose. Quale dunque la sintesi? Andiamo con ordine.

Ravenna. Primavera 2017. Marco Martinelli ed Ermanna Montanari lanciano una chiamata pubblica: trasformare in «avventura scenica» la Comedía dantesca. Oltre ogni aspettativa, ad aprile rispondono quasi in mille. Si svilupperanno così i diversi assembramenti: i cori di cittadini, l’allestimento delle scene e la realizzazione dei costumi insieme agli allievi dell’Accademia di Brera, la produzione delle musiche con quelli del Conservatorio di Latina e il Liceo Musicale Verdi di Ravenna, insomma, una macchina ingente che si è fatto alacre Leviatano, organismo vivente dalla dedizione inestimabile: città che respira nel teatro, teatro che respira nella città.

Foto ©Zani Casadio

Foto ©Zani Casadio

La quasi trentennale esperienza della non-Scuola infatti pulsa in questo Inferno dall’inizio alla fine. Si comincia alle otto di sera. Davanti alla tomba di Dante. Il pubblico si confonde nella folla: difficile distinguere spettatore da attore; soprattutto per un ravennate, che quei luoghi, quei volti, li scorge quotidianamente. Si ricompone qui un’improbabile unità. E ciò significativamente accade davanti a un luogo di morte – la cappella di Alighieri – e di caduta – l’inferno è letteralmente il luogo dello «sprofondamento» –: proprio nello smarrimento della vita ecco ritrovare un tempo di con-vocazione. Storia. Memoria. Cultura. Polis.

La storica coppia teatrale, di bianco candido vestita, scosta appena i battenti dall’uscio—e quasi sembra che quel respiro ritorni a soffiare. È una forma rituale, liturgica, quella adottata per i primi due canti: lettura e ripetizione corale, lettura e ripetizione corale, che rinuncia comprensibilmente al ritmo dell’endecasillabo per ristabilirne una eco che da poetica si fa sociale.

Foto ©Cesare Fabbri

Foto ©Cesare Fabbri

Lasciata la tomba, si peregrina in direzione del teatro. Una seconda stazione in fronte a Sant’Apollinare Nuovo per le parole di Beatrice, poi di lì al Rasi. In alto campeggia l’emblematica «Per me si va». Varcata la soglia, lasciato il cielo, si sprofonda nell’Inferno. Il nero, le urla, gli strepiti, la violenza, la dannazione: lo sciame di spettatori si fa osservatore braccato dai cori di anime dannate. Ogni libertà è persa. Il pubblico verrà sospinto di bolgia in bolgia, sballottolato dai peccati di ciascun girone, rapito, confuso, invaso di immagini, corpi, lamenti.

Foto ©Nicola Baldazzi

Foto ©Nicola Baldazzi

Quello delle Albe non è un inferno filologico alla maniera dantesca, è una contaminazione di immaginari: passati e presenti. L’Inferno si fa veramente il luogo della perversione dell’io, quello in cui ciascuno si accanisce sul suo prossimo, bercia la propria ossessione, si strugge nella pena,  ma non sa dialogare, non riesce in alcun modo a stabilire una relazione. Ed ecco allora che la presenza purissima di Montanari e Martinelli più che una guida viene a rappresentare una fulgida luce nel buio eterno. Ecco che quell’unità pervicace, serena, limpida, nonostante le masnade di anime perse, marca la traccia di un ritrovarsi che è l’unica possibilità di vita, di vita vera, a questo mondo.

Foto ©Nicola Baldazzi

Foto ©Nicola Baldazzi

Ed in ciò, tanto concettualmente quanto scenicamente, il «teatro» dell’Inferno sprigiona tutta la sua carica socio-politica (non a caso le Albe parlano di portare Dante attraverso Majakovskij). Di converso, tuttavia, questo stesso pregio rischia di minare la ricchezza e l’organicità artistica di tale attraversamento.

Prova. Foto ©Zani Casadio

Prova. Foto ©Zani Casadio

A nostro avviso, infatti, fosse intervenuta solamente la cittadinanza a calare lo spettatore in una dimensione principalmente itinerante-performativo-installativa, allora sicuramente si sarebbe pienamente realizzata quella fusione di pubblico e artistico tale per cui ciascuno diventa visitatore smarrito e ritrovato. Avendo costellato, invece, altresì, lo spettacolo  di micro-monologhi, sostenuti mirabilmente dalle stesse Albe, con ricca stratificazione di segni e magistero attoriale (su tutti Montanari con Ugolino, Dadina con Farinata, e Renda con Ulisse), lo scarto estetico e attoriale si fa sentire. Difficile, a quel punto, non trovare un po’ artefatto il modus espressivo delle schiere di diavoli e anime, o le camere del peccato da visitare in autonomia per qualche minuto, dove non è chiaro a cosa effettivamente si stia andando incontro e quale visione, soprattutto, si stia evocando.

Foto ©Cesare Fabbri

Foto ©Cesare Fabbri

In questo attraversamento infernale  si avverte, dunque, di tanto in tanto uno scarto fra guardare e riguardare. Rimane come sospesa la sintesi tra macro-allestimento e abitazione, tra partecipazione ed espressione. Le battute sono re-citate ma non sentite. Infranto il verso, riscritto, riaffidato, il corpo collettivo ne rimane costretto. E pertanto la com-mozione giunge – a nostro sentire – più dalla pregevole dedizione collettiva che da un’emanazione scenica tout court.

Foto ©Nicola Baldazzi

Foto ©Nicola Baldazzi

Al contrario, sono picchi altissimi quelli, ad esempio, del canto XV in cui il maestro d’elezione (e esilio) di Dante, Brunetto Latini, si moltiplica nelle immagini, nei film, nelle parole di Pasolini, dove gli «uccellacci e uccellini» di Totò e Davoli, le condanne alla società dei consumi, il dietro le quinte di Salò si infrangono violenti in questa corrispondenza “infernale” delle Albe. Oppure il quadro in cui l’eretico Farinata degli Uberti si incarna in un gerarca stalinista, anchilosato, alle spalle del pubblico assiso, mentre davanti una videoproiezione di lava rossa, rossissima, ma lenta e stanca, sentenzia il fallimento totale del Comunismo.

Komar & Melamid Blindman's Buff (1982-83), MET, New York

Komar & Melamid Blindman’s Buff
(1982-83), MET, New York

Ecco, questa preziosa potenza immaginifica, metaforica, pienamente teatrale, ci pare che rimanga strozzata nei corpi dei cittadini ravennati, troppo liberi forse nello stagliarsi sul fondo.

Foto ©Nicola Baldazzi

Foto ©Nicola Baldazzi

Ma la questione fra arte e democrazia, fra creazione e partecipazione, fra performatività e installazione è una delle più grande sfide dei nostri tempi, e se nell’Inferno delle Albe rimane irrisolta non se ne può far loro un cruccio. L’attraversamento di queste trentaquattro “repliche” rappresenta ad ogni modo una lungimirante riflessione e messa in atto dei sempre più scricchiolanti processi di partecipazione all’arte che solleva già grande curiosità per le evoluzioni delle prossime tappe (Purgatorio nel 2019, Paradiso 2021).

Ascolto consigliato

Confronti critici:
L’inferno delle Albe, di Massimo Marino (DoppioZero)

Ravenna – 16 giugno 2017

INFERNO
Chiamata pubblica per la “Divina Commedia” di Dante Alighieri

ideazione, direzione artistica e regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari
in scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Roberto Magnani, Gianni Plazzi, Massimiliano Rassu, Laura Redaelli, Alessandro Renda e i cittadini della Chiamata Pubblica

musiche Luigi Ceccarelli con gli allievi della Scuola di Musica Elettronica e gli allievi della Scuola di Percussione del Conservatorio Statale di Musica Ottorino Respighi-Latina e con la partecipazione degli allievi dell’Istituto Superiore di Studi Musicali Giuseppe Verdi-Ravenna

spazio scenico Edoardo Sanchi con gli allievi del Biennio Specialistico di Scenografia per il teatro dell’Accademia di Belle Arti di Brera-Milano

costumi Paola Giorgi con Salvatore Averzano e gli allievi di Costume per lo spettacolo dell’Accademia di Belle Arti di Brera-Milano

regia del suono Marco Olivieri

disegno luci Francesco Catacchio

direzione tecnica Enrico Isola e Fagio
produzione Ravenna Festival

in coproduzione con Ravenna Teatro/Teatro delle Albe

Grazie


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