L'albero Conversano Santeramo

L’albero – Vittorio Continelli

Michele Santeramo e «A Teatro con gusto». Ne avevamo già parlato ieri nel precedente articolo (leggi qui), ma l’autore terlizzese e il motto del festival ci tornano utili per introdurre L’albero, uno degli spettacoli più apprezzati di questa prima edizione dell’Apulia Fringe Festival. Proprio da una collaborazione alla scrittura di Santeramo, infatti, prende vita, o meglio, diventa “teatrabile” il testo scritto da Nicola Conversano. Uscito vittorioso dal festival, l”attore-contadino” andriese si è guadagnato la partecipazione a due rassegne – Officina degli Esordi a cura del Teatro Kismet Opera e «Start Up» di Taranto – e all’edizione 2016 del Fringe Festival di Roma.

«A Teatro con gusto» dicevamo. Per rendere pertinente al contesto anche il sistema di valutazione, si è scelto di distribuire a ognuno degli spettatori un ticket con cinque forchette, in modo da poter esprimere un giudizio numerico, appunto, da uno a cinque. Le cinque compagnie che hanno ottenuto più voti – ponderati con un’incidenza del 30% per il pubblico e del 70% per la giuria popolare – si sono giocate la finale, valutata esclusivamente dalla giuria tecnica. Una scelta coraggiosa quanto discutibile quella di far decidere i finalisti al pubblico, ma su questo punto ci torneremo nel prossimo articolo. Tuttavia, personalmente ho valutato con cinque forchette questa pièce.

Veniamo allo spettacolo. Un contadino (Conversano) apprende che un albero secolare è stato sradicato dal suo habitat naturale per essere spostato nel centro di una piazza di città. Dopo averci parlato (sì, all’albero!), arriva alla conclusione che di uno scempio del genere non ne vuole più sapere, e così decide di partire per Roma. Come? Con l’autostop. Il progetto, però, non va in porto e al protagonista, che non riesce nemmeno ad arrivare a Foggia, non resta altro che tornare in una campagna dalla memoria sempre più sbiadita e tentare, giorno dopo giorno, di mettere in atto il suo piano di fuga.

Piedi ben saldi al suolo, braccia tese, parlata andriese e occhi che guardano dritti verso ogni singolo spettatore: l’attore si presenta simile a uno degli alberi secolari con cui chiacchiera di tanto in tanto, ma il progresso sta tentando di eliminare le sue robuste radici. In questa lotta ìmpari con le pale eoliche, i pannelli solari e l’olio «gentile», cosa resta da fare se non cercare di scappare? Conversano ci mostra una terra in continua metamorfosi, dove la qualità sta lasciando il posto alla produttività, dove l’umanità è scalzata dall’egoismo, dove la tradizione è gelosamente custodita quasi esclusivamente dai nostri attempati parenti.

La gente sta in crisi perché non sa dire più di no. Scusa vai a Roma? NO.

In quaranta magnetici minuti, Nicola Conversano, con uno zaino in spalla e un cellulare nella tasca, si fa portavoce di una società che spinge forsennatamente oltre le proprie reali possibilità quando si tratta di fare i conti con i beni materiali, ma che stenta, invece, laddove a essere coinvolto sia il lato umano; di una campagna, quella pugliese, e dei suoi cambiamenti tra le viti e gli uliveti; di una generazione, la nostra, in costante fuga perché non ha più le forze per combattere.

Domani concluderemo questa mini-serie di articoli sull’Apulia Fringe con la recensione dello spettacolo che più mi ha convinto tra quelli visti e che, forse, avrebbe meritato una sorte migliore. Quale? Beh, ve lo dico domani!

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