Foto di scena ©Marco Onofrio

La bambina dei fiammiferi – Chiara Guidi

Dov’è la fiamma quando la candela è spenta?

È sul lato nascosto delle cose che ci porta a riflettere Chiara Guidi; poco importa se siamo uno dei tanti bambini seduti al Vascello o uno spettatore più adulto, La bambina dei fiammiferi ha una lingua universale, una lingua che ci spinge al di là delle parole.

Si comincia con uno stordimento, tanto visivo quanto linguistico: apertosi il sipario vediamo un punto interrogativo. “In principio era il dubbio.” Poco più indietro, si staglia un grande telo, spesso, che fa da fondale al proscenio; righe verticali, uniformi, una dicromia di bianco e nero che l’entrata in scena di Guidi rende ulteriormente ipnotizzante. L’attrice, infatti, è legata a un filo a quel punto di domanda, mastica lentamente una lingua incomprensibile (dagli echi vagamente romagnoli), e indossa una lunga veste dalla stessa fantasia dello sfondo; ecco allora che vedendola procedere avanti e indietro lungo il telo abbiamo già come l’impressione di scorgere una bolla che si sta gonfiando impercettibilmente fra noi e la storia.

Screenshot dal video ufficiale

Ma forse chiamarla storia non è corretto, la Piccola fiammiferaia di Andersen, in fondo, rappresenta una curiosa anomalia della letteratura folkloristico-fiabesca: non ha alcuna alterazione narrativa, non un intreccio né un capovolgimento, come comincia finisce—senza speranza. Una struttura decisamente poco occidentale che non a caso Guidi decide di mescolare a una favola iraniana: la storia delle farfalle che volevano scoprire cos’era la luce.

In questo caso la domanda è ribaltata, perché la fiamma è assente, regna il gelo e la solitudine. Così, mentre il telo si abbassa e il buio invade la scena, troviamo la piccola protagonista (Lucia Trasforini), accovacciata accanto al pianoforte di Fabrizio Ottaviucci, aggirarsi per il palco guidata dalla voce fuoricampo della fondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio. Un meccanismo che ricorda la ricerca sull’eterodirezione di un’altra storica compagnia romagnola, Fanny & Alexander.

Screenshot dal video ufficiale

La presenza invisibile di Guidi e la musica “fisica” di Ottaviucci creano, dunque, un dialogo salvifico e illusorio tra la bambina e il ricordo della nonna. Fiammifero dopo fiammifero, ci avvinciamo alla fiamma nascosta nella candela spenta: proprio come la farfalla iraniana che scopre la luce solamente quando si getta, infine, nella fiamma, la protagonista della fiaba rivisitata da Guidi potrà trovare pace solamente quando l’ultimo illusorio fiammifero si sarà spento.

Foto di scena ©Marco Onofrio

Foto di scena ©Marco Onofrio

È un affascinante, nonché disorientante, gioco di specchi quello che porta in scena Chiara Guidi: dietro il riflesso della fiamma possiamo scorgere una realtà che costantemente ci sfugge, ma la verità in quanto tale – sembrerebbe suggerirci lo spettacolo – è sempre altrove, perché cercarla o tentare di conoscerla non serve ad avvicinarla. Tanto la presenza, concreta, dei suoni di Ottaviucci quanto le pressanti domande della voce della nonna trasportano la bambina e pertanto noi pubblico di ogni età che di essa siamo la proiezione amplificata a «vedere» oltre le parole, senza lasciarci accecare dal baluginio illusorio della ragione.

Foto di scena ©Marco Onofrio

Parafrasando Chiara Guidi, allora, non possiamo che domandarci: dov’è la voce dell’uomo quando il corpo è muto?

Teatro Vascello, Roma – 19 aprile 2015

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