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Intervista agli Heike Has the Giggles

Dopo aver esplorato gli intrecci sonori dell’ultimo album dei nostri Heike Has the Giggles, Crowd Surfing, le curiosità rimaste sono ancora tante. Vediamo di saziarle.
Questa è una band di giovanissimi, già quasi veterani, vantando ben cinque anni di attività. Si ritrovano ad essere praticamente più conosciuti all’estero ormai, viste le loro ultime tappe a Londra e Berlino, senza dimenticare che nel 2008 hanno partecipato allo Sziget Festival di Budapest.
Dunque, un paio di domande sono d’obbligo, almeno per carpire il segreto, il trucco di come si facciano ad ottenere tutte queste soddisfazioni in così poco tempo. L’abbiamo chiesto direttamente a loro, voce, chitarra e testi, Emanuela Drei, basso, Matteo Grandi e batteria, Guido Casadio.

Innanzitutto, carissimi HHTG, mi sembra di rito la domanda sulla Pausini, ve l’hanno fatta tutti, non vedo perché non dovrei porvela anch’io. Lei è la Madonna nazionale (io la vedo così per i denti separati davanti), cresciuta come voi in quella minuscola realtà di provincia che è Solarolo, nemmeno 5.000 anime. Fin da bambini avrete avuto sicuramente un’educazione a pane e La solitudine, poi immagino che a lungo andare abbiate avuto una forma di rigetto, una specie di orticaria ogni volta che qualcuno si burla di voi dicendo “Ma dai, venite dallo stesso paese della Pausini, fatemi una cover di chennessòio Resta in ascolto”. Temo vi sarà capitato.

Ma allora, mi chiedevo, com’è il rapporto tra un gruppo di ragazzi di provincia che si affaccia al nuovo continente discografico, sempre con quell’ombra minacciosa alle spalle, che deve lottare per farsi conoscere, per riuscire a suonare in un buco di locale, e il marketing musicale, contando che magari inizialmente non viene preso sul serio e poi BAM vi ritrovate su un palco internazionale. Magari siete lì, impietriti davanti a migliaia di persone che sono venute per sentire tutt’altro che voi, e voi dovete spaccare, come si direbbe, i culi per attirare l’attenzione. Insomma come avete fatto, svelatemi questo mistero, siete assolutamente bravissimi, ma immagino che la strada sia stata dura sia per quanto riguarda i live, sia per la ricerca della label giusta.

Non c’è nessun mistero. All’inizio giravamo i locali della zona con la nostra demo, poi abbiamo dovuto fare anche dei concorsi perché molto spesso era l’unico modo per riuscire a fare date fuori dalla nostra regione e tra una cosa e un’altra poi abbiamo avuto la fortuna di conoscere delle persone che si sono appassionate a ciò che facevamo, che hanno creduto in noi e ci hanno aiutato molto a crescere.

Penso che una delle nostre fortune (e anche merito, forse) sia stato quello di avere sempre avuto le idee chiare. Sin da giovanissimi, anche quando non eravamo ancora una band, supplicavamo i genitori di accompagnarci ai concerti, volevamo studiare musica, e forse non ci siamo mai ritrovati a rincorrere chissà quale moda o voglia del momento. Non c’è niente di straordinario in questo, ma intendo solo dire che quando ci siamo formati nel 2007, ci siamo subito trovati d’accordo perché eravamo tre persone con la stessa attitudine e la voglia di fare bene ciò che ci piace e probabilmente questo ci ha dato modo di farci trovare “pronti” e credibili in ogni occasione che ci si presentava davanti.

Per quanto riguarda Laura, non la conosciamo di persona e non fa un tipo di musica che amiamo particolarmente, ma è impossibile non prenderla in simpatia è stata la baby-sitter di metà dei nostri coetanei compaesani e abbiamo lo stesso mitico accento romagnolo.

Cara Emanuela, dopo aver letto l’intervista che ti ha fatto un po’ di tempo fa Federico dei Ministri su Rock.it, esilarante e meno impostata di tante altre, mi viene spontaneo domandarti come siano gli incontri con i gruppi a cui avete fatto da spalla, se si instaurano solamente relazioni lavorative, se continuate a sentirvi anche fuori dai live, se vi date consigli a vicenda, se diventate amici, se vi odiate…

In generale abbiamo sempre avuto delle bellissime esperienze. Non ti aspetteresti mai un sacco di domande da Melissa Auf Der Maur, che vuole sapere la tua storia, che ti chiede in quale locale di Toronto hai suonato con Nick Olivieri che ti si presenta dicendo “Nice to meet you, my new future ex-wife” e ti fa battutine per tutta la sera.

Poi ci sono anche le serate no…una band che ci è dispiaciuto molto non riuscire a conoscere sono stati i Fucked Up; abbiamo suonato prima di loro all’Hana-Bi di Ravenna nel 2010 e sono arrivati dopo che noi avevamo già finito perché il loro volo era atterrato con ore e ore di ritardo, sono saliti sul palco, dopo di che sono andati via subito. Ci è dispiaciuto, ma è davvero comprensibile, a volte sei in giro da parecchi giorni e l’unica cosa con cui vorresti avere contatto è un letto. Anzi, sono stati fantastici perché non è da tutti salire sul palco senza nemmeno il tempo di accordare, dopo un volo da chissà quale altro stato, e riuscire a fare uno show come quello che hanno fatto. Grandissimi.

Comunque i più carini in assoluto sono stati Gossip e Rolo Tomassi… proprio in questi giorni gli abbiamo mandato il disco e siamo molto curiosi di sapere che ne pensano. Quelli con cui poi si è creato davvero un rapporto speciale, sono appunto Federico dei Ministri e Iori’s Eyes; purtroppo siamo tutti abbastanza impegnati e ci si vede principalmente quando magari si suona assieme, ma ogni volta è sempre una grande festa.

Con tutti gli impegni che avete riuscite a fare quello che fanno tutti i ragazzi della vostra età, ovvero università, amici, hobby eccetera? La vostra agenda dev’essere bella piena, io non riesco neanche a gestirmi quando sono in sessione esami, voi come diamine ottenete tutto questo successo, avendo ancora una quotidianità?

Non credo che la parola “successo” ci si addica molto. Siamo tre ragazzi normalissimi che suonano e studiano (io graphic design, Guido si sta laureando in psicologia e Matteo è alla specialistica di scienze politiche). Sicuramente la band ci dà tante soddisfazioni e allo stesso tempo ci tiene parecchio impegnati, quindi non riusciamo a fare proprio tutto quello che vorremmo o come vorremmo. Ad esempio, nessuno di noi è andato a studiare all’estero, anche se è un’esperienza che tutti e tre avremmo voluto fare. Ma come per ogni cosa nella vita è normale dover fare dei sacrifici, delle scelte. Noi cerchiamo sempre di mettercela tutta e per ora direi che le nostre fatiche sono sempre state ripagate. E finché i nostri meravigliosi amici continueranno a sopportarci e a perdonarci l’ennesimo compleanno a cui manchiamo, andrà tutto bene.

Ma veniamo alla parte che mi interessa maggiormente (da brava letterata quale sono): i testi. Sei, ancora tu, Emanuela, a scriverli, ad avere l’ispirazione. M’incuriosisce sempre molto sapere il luogo dove sono stati realizzati. Ogni posto concilia emozioni differenti, pensieri ed idee inedite. Di quali condizioni hai bisogno per poter elaborare un brano degli HHTG? Come nasce ad esempio l’ultima traccia dell’album I don’t know, una delle più belle, sia musicalmente, sia per quanto riguarda il contenuto?

Siamo in un contesto scolastico, un insegnante ha domandato ad ogni alunno cosa volesse diventare da grande. Tu hai risposto che saresti stata un’artista, una cantante, un’attrice, una ballerina e quindi acclamata dai fans. E’ un episodio reale? Hai sempre voluto essere ciò che sei diventata ora fin da piccola, o i progetti della tua vita sono stati anche altri?

Di solito, ed è stato così per la maggior parte dei pezzi di entrambi gli album, scrivo a casa, cerco di mettermi tranquilla e crearmi una situazione adatta o seduta sul letto o alla mia scrivania. Ma, visto che non c’è stato un vero e proprio periodo di pausa dall’attività live, alcune canzoni sono nate anche in situazioni un po’ più improbabili, on the road… ad esempio il ritornello di Crowd Surfing mi è venuto in mente mentre stavo guidando per andare alle prove; ogni tanto mi viene in mente qualche melodia che trovo interessante e continuo a canticchiarla per non dimenticarla finché riesco a fermarmi, tiro fuori il telefono e la registro. Riascoltare queste istantanee è molto divertente… rumori di ogni tipo, tentativi di beat-box… In questo disco c’è un po’ tutto quello che sono stati questi ultimi due anni, dove c’è stato poco tempo per fermarsi e pensare, ma sempre più voglia di fare.

Per quanto riguarda I Don’t Know, era da tempo che l’avevo in cantiere. Tengo una specie di diario, di cose su cui prima o poi vorrei scrivere un pezzo, almeno di quelle “cose” più o meno autobiografiche. Partirò con dire che questa canzone tra di noi la chiamiamo “Jangir”, perché il protagonista vero e proprio è lui, il compagno di classe pakistano che io e Guido avevamo alle scuole medie di Solarolo. Quello che viene raccontato nel testo è successo davvero: la maestra chiede ad ognuno qual è il suo sogno e ognuno dà la sua risposta. Jangir quel giorno fu l’ultimo a rispondere e disse “Non lo so, ma vorrei morire prima delle persone che amo”. Mi ha sempre fatto molto pensare quella sua frase, quel “non lo so”, quando in realtà era un risposta molto sicura.

L’episodio come dicevo è reale, ma, nello specifico, i versi del ritornello (“I wanna be a singer / I will have fans / I wanna be a dancer / People will love me” ecc…), più che la mia risposta personale, costituiscono più una risposta generica e generale, la risposta che chiunque si aspetterebbe da un bambino alla domanda “Cosa farai da grande?” e non sono quindi da leggere in senso specifico o negativo. In realtà il pezzo vuole portare una riflessione sul fatto che seguendo il cuore poi finisci per sapere cosa vuoi fare o almeno capisci quali sono le cose veramente importanti; tutto l’album gira intorno ad un immaginario ambiguo, legato al lasciarsi andare in senso più positivo (all’amore, ai sogni), ma anche al non-sapere, al buttarsi (via) in un senso più negativo… per questo ci sembrava importante fosse proprio questo brano a chiudere il disco.
La risposta che detti realmente io quel giorno era che sarei voluta diventare una musicista… è quello che ho sempre voluto fare e che vorrei fare.

La differenza fondamentale da Sh! a Crowd Surfing è che siete cresciuti, in questi due anni non vi siete fermati un secondo, avete attraversato l’Europa intera scoprendo nuove attitudini. Ve lo dico io, ma credo ve lo diranno anche in molti altri: avete superato il livello emergente, YOU WON. ARE YOU READY FOR THE NEXT LEVEL? Ed ora a cosa aspirate? Volete conquistare tutto il pianeta? La Luna? Marte? Però non avvicinatevi al Sole, non si sa mai, per tutto il resto le porte dello spazio sono spalancate al vostro passaggio.

Siamo felicissimi di tutti i traguardi che abbiamo raggiunto, ma siamo molto realisti e per noi la strada non è che appena cominciata. Poi si vocifera che Beyoncé e Jay-Z faranno un video nello spazio, quindi temo che i vari pianeti verranno conquistati prima da loro, giustamente… per ora ci basterebbe poter fare un bel tour all’estero e avere la possibilità suonare con tanti altri artisti che ci piacciono.

Grazie


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