RossoProfondo 2

Il prezzo della libertà

L'ultimo sussulto di un condannato a morte in 'Rosso Profondo' di Domenico Clemente

In questa vita non è difficile morire. Vivere, è di gran lunga più difficile.

Due morti enigmatiche ed emblematiche quelle di Sergej Esenin e Vladimir Majakovskij, vite consumate durante gli anni in cui la dittatura staliniana non concedeva troppe libertà intellettuali. I versi in questione chiudono A Sergej Esenin, poesia scritta da Majakovskij per ricordare il suo collega/nemico russo morto suicida qualche mese prima. Proprio Esenin ebbe modo di scrivere con il proprio sangue – a poche ore dalla sua dipartita – una poesia d’addio, Arrivederci, amico mio, arrivederci, in cui si congedava con dei versi simili a quelli del suo rivale poetico: «In questa vita, morire non è una novità, ma, di certo, non lo è nemmeno vivere».

Ora. Siamo ben lontani dagli anni Trenta ma quelle due frasi non hanno di certo perso di consistenza. Oggi siamo talmente abituati a scendere a patti, ad accettare realtà non condivise, insomma, ad accontentarci, da dimenticare che tutto ciò significa morire lentamente. Interiormente o biologicamente, in fondo, non fa molta differenza. A volte abbiamo bisogno di un episodio, di un caso estremo per rivendicare la nostra sacrosanta libertà di espressione, e ricordarci che siamo al mondo per vivere e non solo per esistere e subire, quindi, il corso degli eventi.

Tutto questo diviene lampante in Rosso Profondo – Improvvisa e misteriosa dipartita del presidente del Consiglio, testo di Luigi Lunari interpretato da Domenico Clemente. Al centro delle sue vicende c’è un “riscattato” della società, come lo erano i personaggi del Giardino dei ciliegi di Čechov che lo stesso protagonista – solo in scena – cita per paragonare la sua storia personale. Lui, un esponente del partito socialista, un movimento che, nel corso della storia, ha dovuto faticare non poco per emergere e che spesso ha dovuto inchinarsi e cambiare strategie politiche una volta giunto al potere; bene, proprio lui diventa finalmente Capo del Governo. Ma nel giorno del suo insediamento inizia l’incubo. O forse il sogno.

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Già, perché nel giorno più importante della sua carriera politica, il neo-presidente scopre di essere vittima di un male incurabile. Il medico, infatti, gli diagnostica un cancro e lo mette di fronte a una duplice scelta: “fare il malato” e vivere per altri 2-3 anni oppure accantonare le cure e continuare a fare il politico per sei mesi. Ovviamente propenderà per la seconda, ardua opzione, diventando un’autentica mina vagante in un sistema che non ammette “teste calde”. Scenderà tra la gente e dirà quel che pensa realmente, ma se da un lato troverà il favore del popolo, dall’altro si scontrerà con i membri della coalizione che pianificheranno – in una riunione in perfetto stile gangster di una Chicago anni ’20 – la sua uscita di scena.

Una sedia rossa e una poltrona dello stesso colore sono gli elementi scenografici di uno spettacolo in cui i costanti cambi di registro sono accompagnati da luci e musiche differenti. In questa scena purpurea, Domenico Clemente entra nei pensieri più reconditi di un uomo condannato a morte e – in un monologo senza sosta – interpreta tutti i personaggi di una pièce che porta nei teatri da dieci anni e che sembra ormai cucita sulla propria pelle. Da una morte annunciata dunque nasce una nuova vita, ma quando il medico tornerà per annunciare il suo errore – un banale scambio di cartelle – una nuova condanna, “più crudele della prima”, colpirà il protagonista.

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Le paure e i timori cancellati dalla imminente morte torneranno a perseguitare il politico, al quale non resterà altro che farla finita definitivamente. Poco importa se si tratta di suicidio o se il piano dei suoi colleghi è andato a buon fine. Come i due poeti sovietici, l’uomo del cambiamento è “stato suicidato” da una società che ha messo a segno un altro scacco matto ai danni di un principio – la libertà – divenuto sempre più irraggiungibile. Far valere i propri ideali, purtroppo, appare ancora un’utopia.

Casaruccia, Modugno (Bari) – 26 marzo 2017

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