Foto di scena ©Lucia Baldini

Hamlet Travestie – Punta Corsara

Chi è Amleto? Per un verso o per l’altro chiunque ne ha sentito parlare: magari in un monologo, forse studiacchiandolo al liceo controvoglia, oppure anche solo per quella frase, probabilmente la battuta di teatro più celebre di sempre. Sì, non c’è dubbio, Amleto esiste. Ma chi è? E perché sopravvive al tempo?
La risposta, però, non va cercata: è già nella domanda – la risposta è la domanda.

Essere o non essere Amleto significa oscillare tra la vita e la morte, ma come ci insegna l’(anti)eroe della modernità, le parole non vanno mai prese alla lettera, bisogna intenderle secondo ironia. Perché Amleto, in fondo, questo è – ironia: egli rappresenta la nostra capacità di dubitare.

Complicato? Forse. Non tutti, infatti, comprendono Amleto, già a partire dai suoi “cari”, che non capendo i pensieri del ragazzo, ribaltano il suo famoso dubbio in una domanda molto più diretta: egli è pazzo o finge? Per raccontare Hamlet Travestie, forse, vale la pena partire proprio da qui: dal quesito esistenziale dell’essere o non essere che si affaccia al mondo e incontra la rude schiettezza popolare del ma c’è o ci fa.

Amleto Barilotto (Gianni Vastarella, co-autore), infatti, non è principe di Danimarca bensì figlio di un mercataro campano, morto da poco in un incidente stradale. Il ragazzo, colpito dal lutto, si isola nel silenzio, sprofondando nella lettura dell’omonima tragedia; poco a poco, così, perde il contatto con la realtà: non si cura più della sua Ornella in cinta (Valeria Pollice), del banco di stoffe da tirare avanti, dei debiti con lo strozzino di quartiere. Non sapendo cosa fare, allora, i parenti si affidano a Don Liborio, il padre di Ornella, detto o’ Professore (Emanuele Valenti, regista e co-autore), cioè l’unico tra di loro con una certa inclinazione per la cultura, il quale suggerisce di ricreare in famiglia, un po’ alla buona, la tragedia shakespeariana, convinto che assecondandone la pazzia il genero rinsavirà.

Ancora una volta, insomma, torna il dubbio: chi è Amleto, quello vero o quello inventato? E qual è poi la differenza? Brillante erede di una tradizione letteraria che da Cervantes giunge fino a Pirandello (dramaturg Marina Dammacco), l’Amleto di Punta Corsara si scompone – comicamente – e ricompone – drammaticamente – sulla scena, mostrando le due facce del dubbio: si può anche rinunciare a scoprire “se” Amleto sia pazzo, e addirittura “perché” lo sia, ma come si fa a vivere senza sapere cosa potersi aspettare da lui?

Egli, dunque, è un pazzo che facendosi poco sicuro diventa poco rassicurante: sovverte gli equilibri, minaccia e sconvolge; ecco allora che il continuo scarto di registro – comico drammatico -, anziché ricercare un facile consenso di pubblico, stimola l’emersione del perturbante, amplificando dubbi, alimentando timori. Si tratta, a ben guardare, di un’ironia strutturale che si riversa sulla scena puntellando l’intero spettacolo con concentriche geometrie di spazi (Valenti) e luci (Giuseppe Di Lorenzo), efficaci accumulazioni musicali e interpretazioni iperboliche (Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Carmine Paternoster, oltre ai già citati).

Uno spettacolo che non riesce a concludersi ma che non potrebbe diversamente, perché è proprio nell’oscillazione del dubbio che si sviluppa. Senza il dubbio, insomma, la vita rimarrebbe soltanto una sospensione senza polarità – dove tutto è possibile e, dunque, nulla è. Chi è Amleto? Una domanda – fortunatamente – senza risposta.

Ascolto consigliato

Teatro India, Roma – 4 febbraio 2015

In apertura: Foto di scena ©Lucia Baldini

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