Foto di scena. © Manuel G. Vicente

Oltre il documentario

Il Reale di Rodríguez nella Realtà di 'Tijuana' a Le Vie dei Festival

Reale e Realtà non sono la stessa cosa.
La differenza è che la Realtà è ciò che c’è, mentre il Reale è ciò che emerge all’improvviso. Ad esempio. Il nostro aspetto fisico è la Realtà: si può coprirlo con trucchi e abiti, ma quello rimane; vedere invece la nostra immagine riflessa in un vetro è il Reale, qualcosa cioè che entra a gamba tesa nella realtà tanto da metterla in discussione.
Insomma, la Realtà è passiva (“così è”), il reale è attivo (“è così?!”).

Ebbene, con Tijuana.La democrazia in Messico 1965-2015, Gabino Rodríguez compie esattamente questo passaggio: dalla Realtà al Reale.

La realtà data è: circa metà della popolazione messicana vive con il salario minimo (100 euro al mese), com’è possibile?
La transizione al reale è: andiamo a vivere questa esperienza in prima persona. Così l’attore messicano per cinque mesi si trasferisce nei sobborghi della metropoli sud-californiana (una delle più complesse città di frontiera al confine con gli Stati Uniti), cambia identità, vive in una colonia (una sorta di “borgata” nostrana) e lavora in fabbrica sei giorni la settimana.

Una delle prime considerazioni che appunterà sul suo diario (di cui lo spettacolo è testimonianza), è che peggio della fatica è la monotonia: il lavoro non è troppo duro, ma la sua ripetizione è provante. Poi si rende conto che il messicano medio per parlare con il messicano povero spesso adotta uno spagnolo umile”, la stessa lingua che si utilizzerebbe con i bambini, gigionesco, pietoseggiante, ovvero supponente. Poi ancora si domanda: com’è possibile che io riesco quasi a mantenermi nelle spese (senza alcun tipo convenzionale di svago) e c’è chi con la stessa cifra mantiene una famiglia?

Eccoci qui, questo è il reale. È come un’idea che si frantuma, una certezza che si contraddice, un taglio à la Fontana: ah, ma la realtà è anche questo! E ora?

Di fatto, di fronte a questa impasse – che poi è un’impasse esistenziale, di per sé irrisolvibile e solo infinitamente affrontabile – l’esperienza di Rodríguez trema, e anche teatralmente non riesce a “compiersi” fino in fondo (senza che ciò sia necessariamente una “pecca”).

La scena è essenziale. Come una pianta topografica, il palco è segnato da poche strisce bianche a terra, un metro svolto per lungo a segnarne la “stretta” ampiezza, qualche fila cruda di foratini: siamo nei pochi metri quadri in cui visse l’attore per mesi. Il tono è pacato, disteso, Rodríguez racconta senza interpretare particolarmente, come parole che escono immediate dal suo diario. Da uno schermo a terra, di tanto in tanto, emerge qualche sguardo su Tijuana.
Niente di particolare.
Già, niente di particolare.
Ed è questo il punto.
Qui non c’è la rappresentazione di un dramma.

Perché la Realtà di per sé non sorprende più di tanto: tutti ci abituiamo alla realtà, anche a quella più dura. E Tijuana è uno spettacolo per alcuni versi essenzialmente inerte, non riesce ad agire sulla realtà: le rapide istantanee in cui compare l’attore durante la permanenza in colonia ci mostrano una faccia anonima, assoggettata alla fabbrica del lavoro: «produci-crepa» (qui il “consuma” è assente, o ridotto al minimo). E come si reagisce? Cosa si può fare?

Rodríguez non ha risposte. Se ne va via prima del tempo da Tijuana. Più che sconfitto, svuotato. Carico di domande frustranti con cui fare ritorno all’altra Realtà. In tasca, negli occhi,nei silenzi: il Reale.

Ecco che ora, tornato alla sua realtà, l’attore può ricominciare a recitare. Recitare. Come prima? Come ? Come qui? Ma allora cosa vuol dire recitare? (si noti che in spagnolo si gioca sull’ambiguità di actuar che è recitare, sì, ma innanzitutto “agire, interagire, imprimere una azione”).

Tijuana è il reale, discreto e devastante.

Letture consigliate:
• Tijuana: un attore in incognito sulle tracce della democrazia perduta, di Andrea Pocosgnich (TeC)

TIJUANA 
La democrazia in Messico 1965-2015

un progetto di Lagartijas tiradas al sol (Durango)
con Gabino Rodrίguez
co-direzione Luisa Pardo
disegno luci Sergio Lopez Vigueras, video Chantal Penalosa, Isadora Carlos Gamboa
consulenza artistica Francisco Barreiro
foto Manuel G. Vicente
traduzione Ilaria Carnevali
sovratitoli Alessandra Simeoni
produzione Lagartijas tiradas al sol, Marche Teatro
in collaborazione con Festival Belluard Bollwerk International

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