Foto ©Cesare Abbate

Ex Amleto – Roberto Herlitzka

È raro, ma a volte le scarne ed enfatiche sinossi dei programmi di sala rinunciano a ogni ermetismo e dicono nero su bianco quel che uno spettacolo è. D’altronde, stavolta, attore e opera non avevano bisogno di grandi presentazioni: Roberto Herlitzka porta in scena Ex Amleto (per chi fosse proprio digiuno di teatro, sì, quel viso vi risulta familiare perché lo avete già visto nei panni del Cardinale Bellucci, appassionato di cucina, de La grande bellezza). Se il piccolo monosillabo dovesse sollevare strani interrogativi, rispondiamo subito: l’opera non è un adattamento ma proprio la tragedia shakespeariana, con un’unica differenza, c’è solo il principe danese in scena. “Ex” alla latina, dunque, ma forse anche qualcosa di più.

Già, perché se è chiaro fin dal principio che lo spettacolo è solo e soltanto quel che sembra, vale a dire la declamatio esperta di tutti e millecinquecento i versi dell’eroe tragico più famoso del teatro occidentale (tranne i rari casi in cui il dialogo in absentia sarebbe stato talmente surreale che viene chiamata la battuta del personaggio di turno), o insomma una prova enfatica vecchia maniera per i nostalgici del teatro d’attore, al contempo la lettura scenica al Teatro Lo Spazio evoca interessanti atmosfere.

Giacca di velluto nero, camicia bianca, sguardo opaco, Herlitzka richiama l’immagine di un capocomico sopravvissuto a sé stesso, un Amleto anziano – chiaramente shakespeariano – che recita l’Amleto di cinquanta (e quattrocento) anni prima. Un po’ Robert Ford che porta in scena il suo vile omicidio di Jessie James, un po’ Gesù Cristo salvato dal diavolo di Kazantzakis, il redivivo Ex Amleto ha un aspetto stanco, provato, come legato a una maledizione che lo costringe ogni sera a ripetere le vecchie parole di un tempo, eppure è come se non ci credesse più, come se fossero solo una formula magica senza più incantesimo; a tratti sembra quasi di sentire la risata grottesca dello spettro, ma non quello del padre assassinato, bensì quello del figlio, sopravvissuto e glorificato, quasi commiserasse ironicamente la propria folle immortalità.

O forse è soltanto la fantasia di uno spettatore addormentato, che sogna il grande attore sorprendere tutti con una rilettura inaspettata, un Amleto sospeso tra l’essere e il non essere. Ad ogni modo. Scende poi il buio, il piccolo pubblico applaude entusiasta, si alza in piedi per rendere omaggio, grida “bravo”: tutto è andato come doveva andare. Rimane solo una sedia vuota, un teschio a terra e il ghigno di Amleto, beffardo e inquietante, alle spalle di una tragedia mancata.

In apertura: Foto ©Cesare Abbate

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