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Cronache dal lido #1 – Venezia 77

Ad aprire la 77esima edizione della Mostra del cinema di Venezia è stato Lacci di Daniele Lucchetti. Tratto dal fortunato romanzo di Domenico Starnone, che assieme al regista e a Francesco Piccolo ha partecipato alla sceneggiatura, il film racconta la resistenza dei legami familiari, anzi, usando un termine ormai abusato, la loro resilienza. Quando il matrimonio tra Aldo (Luigi Lo Cascio) e Vanda (Alba Rohrwacher) finisce, si aprono i traumi: lei, rimasta sola, si ostina disperatamente a non rinunciare all’uomo che le è stato a fianco per anni, lui, già con un’altra compagna (Linda Caridi), evita i problemi della separazione trascurando i due figli durante le visite. Sono proprio i figli a risentire maggiormente di questa situazione e a subirne gli strascichi anche in futuro. Aldo e Vanda infatti li ritroviamo uniti (a interpretarli nella fase matura sono Silvio Orlando e Laura Morante) anni e anni dopo, in procinto di partire per il mare. Le sottili recriminazioni di Vanda e la passività apparentemente innocua di Aldo fanno capire come il matrimonio sia salvo solo in apparenza. Servendosi di un’ordinata e pulita sovrapposizione temporale, Lucchetti disegna bene le linee di queste sfaccettature emotive, preparando il terreno per un enfatico finale, consegnato ai figli della coppia ormai cresciuti (Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno) e non ancora liberi dalle scorie del passato familiare. L’equilibrio con il quale si passa dal passato al presente, con i suoi vecchi lacci ancora ben stretti alla vita di ciascun personaggio, è certo un pregio del film ma anche paradossalmente un suo limite: gli anni ’80 di Roma e Napoli, scene iniziali nelle quali si consuma la fine del matrimonio, con i desideri di novità per Aldo e di stabilità per Vanda, i conflitti di ruolo uomo-donna, la successiva differenza generazionale con i figli erano temi potenzialmente più esplosivi di quanto lo siano in atto, ovattati da una quiete registica elegante, intelligente ma forse talvolta troppo regolare. (Giulia Angonese)

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In un imprecisato domani, la totale e improvvisa perdita di memoria colpisce un numero sempre più elevato di persone. A qualcuno l’idea di abbandonare la propria vita simulando un’amnesia per ripartire da zero, sfruttando un programma di aiuto statale che favorisce il reinserimento nella società di chi è colpito da amnesia, offre una inaspettata ancora di salvezza. Il film che inaugura la sezione “Orizzonti” della 77esima Mostra del Cinema di Venezia arriva dalla Grecia ed è girato da Christos Nikou, classe 1984, al suo primo lungometraggio dopo l’importante esperienza di assistente alla regia con il suo connazionale Yorgos Lanthimos sul set di Dogtooth. Del cinema di Lanthimos Mele assorbe e rielabora la lezione, mettendo a fuoco lo sguardo sulle deviazioni di una società patologicamente incapace di guarire sé stessa. La distopia si concretizza stavolta in una sorta di “futuro analogico”, in cui gli individui sono tornati ai supporti fisici non-digitali (o forse non li hanno mai abbandonati) : polaroid, album fotografici, cartoline, buste di carta. Il paradosso esige che sia una mela (feticcio del “device” digitale per eccellenza)  a rappresentare il veicolo, quasi proustiano, del recupero di memoria e di identità per il protagonista. Dal cinema di Lanthimos,  Nikou si discosta prediligendo toni, nel complesso, meno corrosivi e sfumati verso la possibilità di una riconciliazione esistenziale. Cosa si è disposti a dimenticare quando si ha già perso tutto? E’ l’interrogativo che sostiene e anima questo film, nato da una dolorosa elaborazione di un lutto familiare per il regista ma perfettamente leggibile in tempi di pandemia. «Per me è stata una coincidenza molto strana terminare la realizzazione di un film su una pandemia soltanto pochi mesi prima che il mondo conoscesse l’esperienza del lockdown», ha dichiarato il regista. Mele parla di isolamento, solitudine, perdita, incertezza sul futuro, e queste problematiche sicuramente si arricchiscono oggi di significati ulteriori. Il tema della memoria, tuttavia, è senza tempo: credo che noi stessi non siamo che la somma di tutte le cose che non riusciamo a dimenticare. (Stefano Lorusso)

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La francese Nicole Garcia porta in concorso Amants con protagonisti Stacy Martin e Pierre Niney nei ruoli di Lisa e Simon giovani e passionali innamorati. Facendo appunto leva sul loro amore tormentato, l’inizio del film è promettente sul piano narrativo: lui è compromesso nello spaccio di droga, lei lo ama talmente tanto che non solo accetta la situazione, ma è disposta a seguirlo ovunque, lontano da Parigi, in seguito a una terribile notte a casa di un cliente di Simon. Il ragazzo però decide di fuggire da solo, lasciando Lisa libera dai problemi e libera forse di amare qualcun altro. Le tinte fosche e noir che aprono il film hanno ragion d’essere, visto che Lisa, ormai sposata con Léo (Benoît Magimel), uomo ricco e più grande di lei, durante una vacanza nell’Oceano indiano rivede casualmente Simon. Tra i due scoppia nuovamente la passione e anche il progetto di eliminare dalla scena Léo. Amore, passione e delitto sono i temi del film che scorre con una sua gradevole ma sempre prevedibile intensità, analizzando in modo interessante la psicologia di ognuno dei tre protagonisti: Lisa e la sua ammissione di un matrimonio di convenienza, Simon e i suoi errori, Léo consapevole di aver ingabbiato una giovane donna con la forza. (Giulia Angonese)

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