Foto ©Fabio Iovino

Comico e struggente, lo Zio Vanja di Čechov rivive nel Sistema di Gili

Čechov è un bel problema, tentare di risolverlo una sfida. Anche per lo stesso autore fu complesso riuscire a portare in scena i suoi testi, infatti la prima volta con il Gabbiano al Teatro d’Arte di Mosca fu un vero e proprio disastro. Poi in aiuto al medico drammaturgo venne Stanislavskij e sappiamo come andò a finire la storia.  Čechov e i suoi testi, anzi, e le sue “farse” – come amava definirli – entrarono a far parte di un mito ancora vivo oggi. Ma tolta l’aura mitologica che situazioni e personaggi hanno acquisito nel corso degli anni, mettere in scena oggi un’opera di Čechov è un’impresa ricca d’ insidie. Facile per registi e attori è impantanarsi nella filosofia dei suoi dialoghi allontanandosi dalla realtà in cui sono stati creati.

Molti registi hanno imbalsamato il testo e gli attori in recitazioni e scenografie create per cercare di riportare sulla scena la vita contemporanea della Russia dell’Ottocento. Un errore che il pubblico ha pagato caro sulla sua pelle, con ore di noia in cui  si attende la fine del supplizio nell’unica speranza che appena usciti dal teatro finalmente si possa dimenticare ogni parola e ogni gesto dello spettacolo nella stessa maniera in cui i personaggi di Čechov affrontano la loro vita: in fiumi di vodka.

Foto di scena ©Fabio Lovino

Ma per fortuna ci sono delle eccezioni, nate negli ultimi anni grazie a due registi: Pierpaolo Sepe che la scorsa stagione ha portato in scena Zio Vanja e Filippo Gili con il suo Sistema Čechov. Entrambi i registi hanno focalizzato la loro attenzione, non sulla retorica della Russia dell’800, sui samovar, sulle scenografie realistiche, ma su quello che c’è di più interessante nelle opere di Čechov, i personaggi.         Ecco che tolti dalla naftalina e dai polverosi salotti borghesi dove nel corso degli anni sono stati rinchiusi, finalmente riescono a trasmettere la loro struggente vitalità, le loro emozioni, la loro malinconia e perché no anche la loro comicità.

Foto di scena © Fabio Iovino

Ironia che si trova soprattutto in Zio Vanja e che Gili a differenza di Sepe è riuscito a riportare sulla scena. È un comico Vanja, il suo, un personaggio farsesco che a un certo punto della propria vita si rende conto di essere stato beffato da quello che credeva potesse essere un mito, Aleksandr (Ermanno De Biagi).  Ma Vanja (Paolo Giovannucci) non è l’unico fallito, nella sua tenuta sperduta nella sconosciuta campagna russa sfilano le frustrazioni dell’umanità, insieme a una costante processione dei rimpianti. Antidoto  contro questo male, la quotidianità e la routine. Il vecchio Aleksandr e la giovane e bella moglie Elena (Chiara Tomarelli) con il loro arrivo destabilizzano questo equilibrio, come anche il Dottor Astrov (Alessandro Federico) con il suo fascino da dandy sciatto e le sue strane idee su diete vegetariane e boschi. Destabilizzazioni che Vanja e la dolce e noiosa Sonja (Emanuela Rimoldi) non riescono a sopportare, preferendo alla vita il mal di vivere.

Foto di scena ©Fabio Lovino

Questo è Čechov e questo è ciò che Filippo Gili e i suoi attori sono riusciti a riportare in scena. E per fortuna a fine spettacolo se si ha voglia di bere non è per dimenticare quello che si è appena visto, ma perché usciti dal teatro ci siamo resi conto che ci troviamo nella stessa situazione dei personaggi di Čechov: la vita ci ha ingannati e non ci resta che tornare alle nostra routine.

Letture consigliate:
• Sistema Čechov – F.Gili, di Elena Cirioni
• Il passo mancato di Amleto nell’Ivanov di Filippo Dini, di Sarah Curati
• Villa dolorosa. Tre compleanni falliti – Rustioni/Kricheldorf, di Nicola Delnero
• Tre atti unici – Rustioni/ Čechov, di Giacomo
• Il Gabbiano – La Fabbrica, di Giulio Sonno
• Senza trama e senza finale – Macelleria Ettore, di Sarah Curati
• Indubitabili celesti segnali – PolisPapin, di Sarah Curati

 

Teatro Argot Studio, Roma 2016 31 marzo 2016

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