I Teatri della Cupa

Certezze e incertezze estive pugliesi

La quarta edizione dei Teatri della Cupa

La Puglia è una regione lunga, quindi non sorprende più di tanto la presenza di più festival teatrali durante la sua calda estate. O meglio, non sorprendeva. Da nord a sud, infatti, la situazione sta diventando “leggermente” complicata. Prendiamo a titolo esemplificativo alcuni festival con qualche anno sulle spalle. Non smetteremo mai di menzionare stArt up di Taranto, felicissima intuizione di Teatro CREST ormai ferma all’edizione del 2015. Continuiamo con Festival Troia Teatro, giunto lo scorso anno alla XIII edizione, di cui apprendiamo – da un post Facebook del critico Alessandro Toppi che fotografa perfettamente l’ambigua situazione pugliese – che quest’anno non si terrà. Spostiamoci un po’ più giù, ad Andria, dove lo storico Festival Castel dei Mondi (22 edizioni) rischia ogni anno di non partire. Alla fine ce la fa sempre, ma tempistica burocratica, problemi organizzativi e costante riduzione del budget ormai non riescono a essere mascherati dalle sale degli eventi sempre piene.

Andando più a sud la situazione sembra, almeno all’apparenza, differente. Troviamo, infatti, il Teatro dei Luoghi Fest di Koreja – rassegna estiva più che festival – che quest’anno, da giugno fino ai primi giorni di agosto, si divide tra Lecce e Aradeo (in questa edizione più fitto il programma nel piccolo comune salentino), con un’incursione a Tirana a fine ottobre. Grande rilievo viene dato alle produzioni e agli attori di “casa”, senza farsi mancare artisti di livello nazionale come Claudia Castellucci, Roberto Latini e Teatro dei Venti, solo per citarne alcuni presenti nel programma degli ultimi anni.

Festival Troia Teatro

Festival Troia Teatro

Sempre nel Salento, e più precisamente nella Valle della Cupa, si tiene invece I Teatri della Cupa, organizzato come di consueto tra la fine di luglio e gli inizi di agosto (nonostante gli immancabili problemi di ogni sorta) da Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro, le due perseveranti compagnie residenti a Novoli. Un attraversamento teatrale e paesaggistico che in questa edizione – la quinta –, come nella scorsa, coinvolge i comuni di Campi Salentina, Novoli, Trepuzzi e l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate. Un appuntamento divenuto, a nostro avviso già da un po’ di tempo, il vero grande fiore all’occhiello tra i festival estivi pugliesi, anche se, forse, la comunità non se n’è ancora resa conto.

Un instancabile lavoro di coinvolgimento e partecipazione attiva che inizia dalla stagione invernale del Teatro Comunale di Novoli e culmina proprio con la settimana di festival che ha fatto registrare, anno dopo anno, una crescita costante della proposta artistica (direzione Tonio De Nitto e Raffella Romano) andata a braccetto con quella degli spettatori, tanto da incuriosire critici e operatori, sempre più presenti e interessati all’evento. Ma lo scorso anno qualcosa si è inceppato sul versante pubblico, apparso sensibilmente minore in termini numerici. Si sa, l’estate pugliese non offre certezze a causa dei tanti eventi spesso in contemporanea, ma ci auguriamo che il calo della scorsa edizione sia stato solamente un caso e che da questa si riprenda la marcia parzialmente interrotta.

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I Teatri della Cupa. Foto ©Eliana Manca

Si parlava della solida proposta artistica, per farci un’idea torniamo alla passata edizione che, come abitualmente avviene – oltre a laboratori, talk e dopo-festival – ha lasciato spazio a molte produzioni regionali senza farsi mancare alcuni dei nomi più interessanti del panorama nazionale. Si sono avvicendati, tra gli altri, il poetico e minimale Un quaderno per l’inverno di Massimiliano Civica (due premi UBU nel 2017), l’eterno conflitto generazionale de La buona educazione della Piccola Compagnia Dammacco, l’immobilismo opprimente meridionale del Diario di provincia di Oscar De Summa, le variazioni materne di Mamma di Danilo Giuva (Compagnia Licia Lanera), mentre hanno continuato le loro esplorazioni sugli ultimi e sugli spettri del passato la Factory Compagnia Transadriatica con Il Misantropo e Roberto Corradino con Parla con mia madre. Se di questi ultimi due spettacoli scriveremo in maniera più approfondita durante questo ultimo scorcio di estate, qui ci occupiamo di altri tre molto differenti fra loro per forma e contenuto.

I Teatri della Cupa

Massimiliano Civica Un quaderno per l’inverno. Foto ©Eliana Manca

Partiamo con Il paese che non c’è, viaggio nel popolo delle montagne, un progetto di Gianluigi Gherzi e Fabrizio Saccomanno dal grande peso politico. Un tavolo su cui troviamo libri e appunti sparsi, e una lavagna “riempita” durante lo spettacolo di parole chiave, fotografie, storie di vita vissuta e sogni sono gli elementi scenici. La base è una storia che non si può raccontare, quella di un popolo – il curdo – in costante evoluzione, mese dopo mese, giorno dopo giorno. E i due uomini (più che attori) in scena si fanno carico di questa impresa decidendo di raccontare questa storia senza raccontarla, spezzando il ritmo, ponendo – al pubblico ma soprattutto a loro stessi – dei dubbi difficili da sciogliere, interpretando i sogni crescenti di un popolo in bilico tra stati, religioni ed etnie, tracciando delle linee e riempiendo la lavagna di parole che solo a fine spettacolo assumono un senso logico.

Guerre, confini, non-luoghi e lunghi cammini sono al centro di questo dibattito/dialogo imbastito dalle differenti voci e anime dei due in scena; più riflessiva quella di Gherzi, più istintiva quella di Saccomanno. Sappiamo troppo poco di questo popolo che ha ricominciato a sognare di poter avere un’identità, e la coppia in scena non cerca di compensare una lacuna attraverso una lineare lezione da apprendere, piuttosto, tenta di scuotere qualche coscienza con immagini che vanno a delineare un paese che, sì, non c’è ma esiste. Eccome se esiste. Basta cominciare a informarsi maggiormente per comprenderlo.

I Teatri della Cupa IV

Ura Teatro Il paese che non c’è. Foto ©Eliana Manca

Da un sogno vero e tangibile a uno quantomeno strambo – ma pur sempre reale. È datato 2012, infatti, il progetto Mars One, avviato con il fine di selezionare un nucleo di persone che dovrebbero abitare la prima colonia su Marte in maniera permanente. Ad oggi, si contano più di 200.000 candidature, possibili attraverso video-presentazioni. Sì, capito bene, ci sono persone disposte a lasciare per sempre il pianeta Terra, tagliare quasi tutti i ponti tra passato e futuro valutando il presente come un’autentica battaglia persa in partenza; insomma, ricominciare una nuova vita su altro pianeta.

Questo il punto di partenza di Vieni su Marte, ultimo lavoro di Vico Quarto Mazzini, compagnia che, dopo le ombre e luci dell’operazione Karamazov, ritroviamo forse con lo spettacolo più maturo dal punto di vista drammaturgico (Gabriele Paolocà) e registico (Paolocà e Michele Altamura), con intuizioni che in questo caso riescono come non mai a trovare un’organicità lungo tutta la durata della messinscena. Proprio i video-motivazionali degli aspiranti marziani aprono le danze e fanno da anello di congiunzione tra i variegati quadri scenici interpretati dagli stessi Paolocà e Altamura.

I Teatri della Cupa IV

Vico Quarto Mazzini Vieni su Marte. Foto ©Eliana Manca

Ecco dunque prendere vita – tra dialetti e teorie differenti, tra stati d’animo e precarietà disomogenee –, un’umanità variopinta alle prese con la propria idea di riscatto e redenzione nei confronti di un’identità ormai tradita e raggirata, di una fragilità rimarcata e imperante; nel tentativo di esorcizzare i fallimenti personali e collettivi attraverso una nuova e molto probabilmente infruttuosa colonizzazione. Sarcastica ma allo stesso tempo condiscendente, la compagnia terlizzese ci mostra una delle tante facce che sta assumendo la deriva umana, sempre più occupata a escogitare piani di fuga piuttosto che rimediare, nel loro habitat naturale, agli errori commessi.

I Teatri della Cupa IV

Vico Quarto Mazzini Vieni su Marte. Foto ©Eliana Manca

Chiudiamo con Icaro Caduto, viaggio con variazioni sul mito greco di Dedalo e, ovviamente, di suo figlio Icaro. Gaetano Colella, autore e unico interprete in scena (regia di Enrico Messina), torna con questo spettacolo a esplorare il rapporto padre/figlio dopo il fortunato Capatosta (Teatro CREST), ma con un piglio – scenico, attorale e drammaturgico – decisamente differente. Una prova generosa e viscerale – voce potente e grande gestualità – da grande attore d’altri tempi, che ben si presta a interpretare gli endecasillabi in rima alternata – con incursioni dialettali tarantine – che compongono la drammaturgia.

Un racconto a più voci che, come anticipato, si nutre dal mito per poi prendere una nuova direzione. Ci troviamo, infatti, al momento della caduta di Icaro, in mare dopo essersi avvicinato troppo al sole; ma qui il figlio di Dedalo viene ritrovato in mare da un pescatore pugliese e, ribattezzato Angelo, finisce per diventare una sorta di fenomeno da baraccone che porta a galla folclore e colori di un sud curioso quanto legato alle proprie tradizioni. Questo almeno fino al suo risveglio; momento in cui il redivivo protagonista si trova a dover fare i conti con il proprio passato, in cui la scomoda e ingombrante figura paterna occupa un posto rilevante.

I Teatri della Cupa IV

Armamaxa Teatro Icaro caduto. Foto ©Eliana Manca

Parte così la spedizione di ricerca, accompagnata da un odio alimentato dai ricordi che via via riaffiorano, placato solo dall’incontro con la persona che aveva reso il suo viaggio un perpetuo e straziante tormento e che ritrova ancora con l’animo dilaniato dal dolore per la presunta perdita del figlio. Cercava Dedalo, ma alla fine ha trovato se stesso, lo capisce solo nel finale, Icaro. La rivalsa lascia così il posto a una consapevolezza ritrovata, quella necessaria a crescere e poter iniziare realmente a volare con ali proprie.

I Teatri della Cupa IV

Armamaxa Teatro Icaro caduto. Foto ©Eliana Manca

Ura Teatro (Lecce), Vico Quarto Mazzini (Terlizzi) e Armamaxa Teatro (Ceglie Messapica) sono solo tre delle compagnie che sono andate a comporre un programma che, come già accennato, si nutre dalla propria regione per un festival che sta diventando, anno dopo anno, un vero e proprio termometro della scena pugliese; senza ovviamente tralasciare compagnie e artisti nazionali che difficilmente si incontrano in Puglia durante le stagioni invernali. La creatura di Factory e Principio Attivo, dunque, continua il proprio percorso di crescita, la speranza è che anche il pubblico se ne accorga.

Ascolto Consigliato

IL PAESE CHE NON C’È
Viaggio nel popolo delle montagne

progetto Gianluigi Gherzi, Fabrizio Saccomanno
in collaborazione con UIKI onlus rete – Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italiae GUS – Gruppo Umana Solidarietà “G.Puletti” onlus
con Gianluigi Gherzi, Fabrizio Saccomanno
ideazione scene Denise Carnini
realizzazione scene Cosimo Scorrano
disegno luci e tecnica Angelo Piccinni
consulenza storica e culturale Giovanni Giacopuzzi
organizzazione e cura del progetto Giovanna Sasso
produzione Ura Teatro
con il sostegno di Festival Collinarea, Associazione Olinda Onlus e Residenza artistica Teatro Comunale di Novoli – Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro

VIENI SU MARTE
uno spettacolo di VicoQuartoMazzini
diretto e interpretato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà
drammaturgia Gabriele Paolocà
scene Alessandro Ratti
light design Daniele Passeri
costumi Lilian Indraccolo
riprese e editing video Raffaele Fiorella, Fabrizio Centonze
tecnica Stefano Rolla
produzione VicoQuartoMazzini, Gli Scarti
con il sostegno di Officina Teatro, Asini Bardasci, 20Chiavi Teatro, Kilowatt Festival

ICARO CADUTO
di e con Gaetano Colella
regia Enrico Messina
costume Lisa Serio
disegno luci Loredana Oddone
cura del suono Raffaele Bassetti
datore luci e audio Francesco Dignitoso
distribuzione e organizzazione Mary Salvatore
produzione Armamaxa teatro/Paginebianche teatro

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