Foto di scena ©Loris T. Zambelli

Banane – Teatrodilina

Ascoltate il vociare dei passanti, il rumore dei passi, lo sfiato dei treni e lei, la voce registrata che annuncia l’immancabile “ritardo di trenta minuti, ci scusiamo per il disagio”. Molti l’avranno riconosciuto: è il suono dell’ordinaria follia quotidiana.

Siamo alla stazione Termini, punto di (arrivo e) partenza di Banane, testo della compagnia Teatrodilina, per la regia di Francesco Lagi, che immerge i quattro personaggi e gli spettatori in un carosello di quaranta rapidi sketch capaci di trarre da vicende di comune normalità, grottesche e drammatiche riflessioni esistenziali.

Palma (Aurora Peres), cappotto, borsone e cuffie nelle orecchie, proveniente da Lecce, nonostante la cadenza sicula, arriva a Roma, ospite temporanea del cugino Pino (Leonardo Maddalena) – lui, invece, l’accento pugliese lo svela alla prima parola –, nella sua piccola ma confortevole casa: pavimento a scacchi e comode cassette da frutta di plastica per letto e poltrona. Per Pino c’è giusto il tempo di dare qualche raccomandazione sui pericoli cittadini e d’invaghirsi della ragazza – niente di scandaloso, in fondo sono cugini di secondo grado, parenti alla lontana – che lei è già pronta per ripartire.

Inizia così un viaggio “on the road”, direzione Salento, alla riconquista di Palma, fatto d’incontri – in primis con Elio (Francesco Colella), burlone con fare alla Fonzie, compagno di avventure e rivale d’amore di Pino -, di scontri con Max (Mariano Pirrello) – addetto al confezionamento di banane e singolare fidanzato di Palma, vagamente ispirato a Forrest Gump, capace di spiegare cos’è l’amore accarezzando la sua cagnetta Pigna, quinto personaggio e attrice (a quattro zampe) – di relazioni clandestine, di baci rubati, di rincorse, di addii.

Attraverso una messinscena scarna e leggera, Lagi mostra le banalità, quelle che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni senza vederle. Traspaiono da spinose disquisizioni che si protraggono fino a sfociare nel comico – come i consolatori discorsi sulla calvizie, problema serio e sottovalutato, la presa di coscienza dell’assurdo gusto maschile in quanto a scarpe, o il dilemma sulla nazionalità di uno dei personaggi di The Avengers, quello di Thor, “la bionda col martello” -; emerge, altresì, da bizzarre usanze – quando si ricevono ospiti è buona regola offrire una banana di benvenuto -, e da frivole e degeneranti situazioni, come un’allegra partita a carte che rischia di finire a pugni.

Sono queste le futilità in grado di sfilacciare i rapporti personali, allontanando gli uni dagli altri, per lasciarli così, inermi e apatici, separati da uno strato di silenzio, solitudine e imbarazzo. E noi, tra le sincopate alternanze di buio e luce, sorridendo divertiti, c’interroghiamo sulla fragilità dell’essere umano, sulla felicità, sul futuro, e sul tempo che scappa portandosi via occasioni, momenti, sogni.

Teatro dell’Orologio, Roma – 25 ottobre 2014

In apertura: Foto di scena ©Loris T. Zambelli

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