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Arrival – Denis Villeneuve

Non è di certo l’ennesimo film americano sugli alieni, con annesso concentrato di effetti speciali fini a se stessi, quello diretto da Denis Villeneuve: Arrival è prima di ogni altra cosa un film che nasce dal desiderio profondo di raccontare una storia universale.

Amy Adams indossa l'abito di scena della dottoressa Louise Banks, riconosciuta linguista e docente universitaria che viene arruolata dalle forze militari statunitensi insieme allo scienziato Ian Donnelly (Jeremy Renner), con l'obiettivo di far fronte ad un avvenimento straordinario: l'arrivo sul pianeta Terra di dodici monoliti alieni (rigorosamente di color nero). La dott.ssa Banks, reduce dalla dolorosa perdita della figlia a causa di una malattia, si ritrova a mettere nelle mani del colonnello Weber (Forest Whitaker) le proprie straordinarie capacità d’interprete, nel tentativo di rispondere all'eterno esistenziale quesito sulle forme di vita extraterrestre: invasori da combattere o alleati da accogliere?

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Ciò che colpisce sin dalle prime inquadrature è la magnificenza dei reparti tecnici, massima e riuscitissima espressione della produzione americana a grande budget. Fotografia e suono servono la storia con precisione millimetrica mentre gli effetti speciali, di un realismo sorprendente, non cedono alla tentazione di spingersi oltre l’eccesso. Il vero punto di forza del film, però, risiede nella sceneggiatura di Eric Heisserer (basata sul racconto Storia della tua vita di Ted Chiang), meritevole di fare del genere fantascientifico non un altro – il solito – pretesto per viaggiare nell'iperspazio, ma il veicolo di un racconto viscerale e universale: quello del confronto fra civiltà. Il tema del linguaggio origina il film e lo percorre sino alla fine, è esplorato in lungo e in largo, ne supporta ogni scena e ogni scelta.

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Lo scivolone americano si sfiora soltanto quando vengono riesumate antiche rivalità che portano a mostrare la Cina come una minaccia ben più pericolosa dell'invasore alieno, mentre contemporaneamente il cittadino statunitense si appresta a salire sul piedistallo della civiltà salvando il mondo per l'ennesima volta; il film barcolla leggerissimamente, ma riesce poi, in silenzio, a ritrovare quasi subito un equilibrio che a ben vedere non ha mai completamente perso.

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La protagonista interpretata da Amy Adams diventa così la coraggiosa portabandiera di una civiltà nuova che inizia un percorso di redenzione basato sulla pace e il rispetto. Con una metafora contemporanea e forte Arrival parla ad ognuno di noi, sussurrandoci all'orecchio, mentre lo spettacolo prosegue davanti ai nostri occhi, che diversità è, oltre ogni altra cosa, conoscenza.

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