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‘Scrooge’, o il sogno americano infranto – Fanny & Alexander

Il verde è un colore ambivalente: se da un lato rappresenta la speranza e la tranquillità, dall’altro è l’invidia e la rabbia, il serpente e il suo veleno. Verde è anche il colore di tutto ciò che regola la nostra esistenza: il dollaro. In altre parole, il Capitalismo. Scrooge, studio per Discorso verde di Fanny & Alexander, scatena proprio una riflessione sul rapporto tra l’Uomo e il Denaro servendosi di un celeberrimo personaggio di Walt Disney. E allora, quale miglior esemplare può essere preso a paradigma dell’amore per i soldi, se non Uncle Scrooge?

Per noi meglio conosciuto come Zio Paperone, è il papero più ricco del mondo, nonché incarnazione del self-made man e proiezione del sogno americano: colui che, partendo da una condizione di povertà, soltanto con il duro lavoro e le sue forze è diventato miliardario. In scena, Scrooge è Marco Cavalcoli in frac nero e cilindro, a dare una lezione sulla storia del Denaro ai tre nipoti Qui Quo Qua (Chiara Lagani, al lato del palco). Qual è però il prezzo da pagare per essere zio Paperone? Il denaro rende avidi e avari, inaridisce l’anima, allontana da sé stessi come dagli affetti; ecco allora farsi strada un altro Scrooge, Ebenezer, quel vecchio egoista e taccagno, protagonista del Canto di Natale di Dickens. Le due storie si sovrappongono, si contaminano, si richiamano ora con la parola, ora con la danza, ora con la filastrocca, mentre l’ininterrotta musica elettronica (live electronics Emanuele Wiltsch Barberio) amplifica gli echi e distorce i suoni, moltiplicando il gioco delle corrispondenze.

L’uomo è fragile di fronte al Capitalismo. Così sembra Cavalcoli nella voce incrinata, nello smarrimento del corpo, nell’inciampo della parola e della sua ripetizione; è come se il denaro si fosse insinuato nelle pieghe del corpo influenzandone i gesti, le nevrosi, i pensieri. Scrooge appare così come l’uomo contemporaneo affetto da un marcato stress psico-fisico, bombardato dai continui stimoli cui è sottoposto: e non è solo la voce di Chiara Lagani, che man mano assumerà il ruolo dei suoi vari interlocutori – così Scrooge sarà visitato da Paperino, il nipote Fred, i fantasmi del passato, presente e futuro, gli amori perduti (Isabel come Lady Duck) –, ma anche quelle immagini di cartoni animati che scorrono ininterrotte su uno schermo circolare dietro di lui, come una controparte visuale della sua storia.

Il sogno americano è infranto, collassando su sé stesso. Ora però non siamo in America, bensì in Italia. Come italiani sono quei personaggi assai riconoscibili a irrompere nella voce di Cavalcoli, incarnazioni reali dello Scrooge di fantasia; che siano echi del Rubygate o un’intervista di Marchionne: piccoli flashback di un passato recente con cui facciamo ancora i conti, simboli di quella fiducia nel capitalismo che ci ha fatto capitolare nella crisi in cui siamo tuttora immersi.

Partendo dall’esplorazione di un cartone animato, Fanny & Alexander porta in scena una riflessione sulla fragilità dell’uomo al cospetto di quel dollaro verde molto più grande di sé. Se dal punto di vista formale, la compagnia si avvale di un dispositivo teatrale sperimentale il cui coinvolgimento sensoriale è indubbio e accattivante, per contro, è il contenuto a uscirne più indebolito: la drammaturgia appare a tratti dispersiva e nella mancanza di un messaggio pienamente centrato si percepisce qualcosa di irrisolto, ancora da approfondire. Il collegamento di Scrooge con il presente, insomma, rimane un’intuizione interessante ma è lasciata cadere, come un campanello d’allarme inascoltato. Forse, se ascoltato più a fondo, quel campanello potrebbe invece risvegliarci dal torpore e darci quella “scossa” in grado di catapultarci davvero nei retroscena di quelle trattative incomprensibili che, pur avvenendo lontano da noi, ci riguardano da vicino e rischiano drammaticamente di cambiare il corso delle cose.

(Foto ©Alessandro Sala, Drodesera 2015 | In copertina: ©Enea Tomei)

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