Foto di scena ©

Il dolore del non-luogo

'Schwanengesang D744' di Romeo Castellucci

Dimentichiamoci per il momento delle visioni elaborate a cui negli ultimi tempi gli spettacoli della Socìetas Raffaello Sanzio ci hanno abituato, perché in Schwanengesang D744 Romeo Castellucci mette a riposo qualsiasi ricco apparato scenico a favore di una semplicità quasi brutale. Al centro del palco avvolto nella semioscurità, un’affascinante soprano (Kerstin Avemo) interpreta alcuni Lieder di Schubert accompagnata dalle note di un pianista (Alain Franco), mentre, sullo sfondo, scorrono in bianco le parole tradotte in italiano. Schwanengesang, letteralmente “Canto del cigno”, è infatti il titolo dell’ultimo ciclo di composizioni da camera del grande artista austriaco prima della sua morte nel 1828, in cui dominano richiami alla natura, amori distrutti dal dolore, squarci di forte nostalgia e l’imperterrita sofferenza dell’essere umano.

Tutto qui? Non esattamente, perché quello di Castellucci è un teatro che dal profondo centro del suo mistero chiede di farsi scrutare dallo sguardo dello spettatore per stimolare varie, possibili interpretazioni: col passare dei minuti l’intensità cristallina con cui Avemo si appropria della Sensucht di Schubert permea progressivamente l’atmosfera di sé, e il nudo palcoscenico sembra allora trasformarsi in un’idea di Nulla, di Fine, di Post (vita). È una zona che con distaccato orgoglio fatica ad avvicinarsi a qualsiasi categoria di spazio e tempo, un inferno discreto e silente in cui, probabilmente, si finisce per piombare in seguito a una smisurata consapevolezza del dramma dell’esserci, per un eccesso di pene d’amore e di insormontabile malinconia. Talvolta nel corso del suo canto l’interprete tende le mani in avanti, come se sperasse di riappropriarsi almeno con la punta delle dita del lirismo di ciò che è stato, della calorosa poesia di quello che sarebbe potuto essere; ma un suo improvviso pianto spegnerà del tutto le illusioni accumulate, e la scaraventerà ancora più a fondo di questo indefinibile, imbattibile Nulla.

Foto di scena ©Christophe Raynaud de Lage

Anche la strana, fantasmatica figura femminile che giunge poco dopo (Valérie Dréville), per quanto percorsa da una disperazione energica e combattiva, quasi volesse provare a neutralizzare l’oblio da cui è circondata, sarà costretta ad arrendersi e ad assumere un contegno triste, sconfitto e pacatamente tormentato al cospetto di ciò che è inevitabilmente più grande di lei.

Con Schwanengesang D744 Castellucci sembra dunque proporre un implacabile esempio di Non-luogo che abbia prelevato per sempre due esempi di umanità dalla vita per testare su di loro le sue infinite, implacabili possibilità, costringendoli a ricordarsi senza fine e in maniera amplificata del materiale effimero dell’esistenza che è stata, della speciale e imbattibile eternità di cui il dolore gode. Anche in questo posto senza nome.

Letture consigliate:
• Castellucci Schwanengesang: cantare sull’abisso, di Massimo Marino (Corriere della Sera-BOblog)
• Il fondo torbido del senso. Go down Moses, di Giulio Sonno (Paper Street)

Ascolto consigliato

Teatro Metastasio, Prato – 30 ottobre 2015

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