Magda e lo spavento – Teatro i Martinelli

Hitler, Frau Goebbels e i sette nani

Il brillante straniamento di Martinelli/Teatro i

La parola straniamento a teatro è stata abusata, snaturata e infine data quasi per scontata. Scriverla è diventato una cattiva abitudine che spesso è meglio evitare. Ma per descrivere Magda e lo spavento di Teatro i (ultimo capitolo della trilogia di Massimo Sgorbani Innamorate dello spavento), non c’è altra via d’uscita, bisogna prendersi la responsabilità di definire questo spettacolo straniante. Il tanto maltrattato e abusato straniamento è stato preso come vero e proprio marchio stilistico della lettura drammaturgica di Francesca Garolla e dalla regia di Renzo Martinelli.

Come nei precedenti Blondi e Eva, il luogo è sempre il lugubre e inquietante bunker costruito sotto Berlino, dove Hitler e i suoi si rifugiarono prima della fine. Una stanza scura, con un’enorme ventola di areazione (luci Mattia De Pace): è questo il triste salotto dove si incontrano il Führer in persona (Milutin Dapcevic) e  Magda Goebbels (Federica Fracassi), la moglie del freddo e perverso Joseph Goebbels, il ministro della propaganda del Reich. Magda «l’infanticida», colei che dopo aver ucciso i suoi figli, prima di suicidarsi, decide di giocare un solitario per ingannare l’attesa della fine.

Foto di scena ©Teatro i

In scena, questi due personaggi vengono trasformati in due grottesche marionette, inquietanti pedine di un gioco di racconti fiabeschi che parte da Biancaneve e arriva fino a Topolino. Favole che rimandano al mondo dell’infanzia, ma qui non c’è nulla di giocoso, i gesti ripetuti, i passi di danza di Magda, ossessivi come un tic, le parole stridule di Hitler e i suoni (Fabio Cinicola) orchestrati – brillantemente – in maniera meccanica con i movimenti dei due attori, creano lo straniamento e alterano lo spettacolo in un incubo lisergico dove la realtà non esiste.

Foto di scena ©Teatro i

Sopravvive solo la paura, l’inquietudine e la morte, macabra presenza ossessiva e compulsiva come la formula Heil Hitler. Se nel precedente Eva avevano visto le immagini di Via col vento, tra Magda e Hitler ci saranno invece i sette nani e uno in particolare, Seppel (Cucciolo), quello più piccolo, più dolce, «più deforme». Il Führer prova tenerezza nei suoi confronti: su questo lato umano del personaggio disumano per eccellenza, la drammaturgia di Sgorbani, costruisce una “macchietta tetra“, un maligno folletto delle favole che si diverte a stuzzicare le sue donne, cagna compresa,  gioca con la morte e segue una dieta vegetariana.

Magda invece appare come una bambola rotta dall’orrore. Una Madonna nera che decide di essere la serva di un Dio malvagio e al quale sacrifica non un figlio, ma sei. Unico attracco alla realtà il suo racconto della morte dei figli, efficace e carico di pathos da tragedia greca.

La composizione scenica di Martinelli è machiavellica e perfetta, come lo sono i due attori. In alcune parti dello spettacolo si pecca tuttavia di ridondanza, dilatando allo stremo – seppur volutamente – elucubrazioni psicologiche che rallentano il ritmo, fino a smorzare quella tensione tetra che tocca il suo punto più alto, alla fine, nel monologo di un Hitler trasformato in orripilante Saturno costretto a divorare e vomitare i morti per l’eternità. Un momento di coinvolgimento emotivo di cui si sentiva il bisogno, soprattutto per digerire la pillola un po’ amara dello straniamento che, tornerà a sipario chiuso, con la mimica orchestrale di un Hitler trasformato in maschera.

Una pecca? Forse, ma sotto certi punti di vista coerente con le scelte registiche dello spettacolo.

Ascolto consigliato

Teatro India, Roma – 19 aprile 2016

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